E’ di questi giorni la notizia che Robert Hanningan, direttore del Gchq, chiede maggior cooperazione perché “che alle aziende web piaccia o no, sono diventate un centro di controllo e comando privilegiato per i criminali”.

Gchq sta per Government Communications HeadQuarters: si tratta della agenzia di intelligence britannica il cui obiettivo dichiarato è di garantire la sicurezza del Regno Unito nel contesto della sfida posta dalle nuove comunicazioni digitali. L’attenzione degli inglesi alle comunicazioni risale a 100 anni fa: il 2014 intatti è il centenario della British Signals Intelligence, nata all’avvio della Prima Guerra Mondiale per scandagliare a fini di spionaggio il mondo delle comunicazioni. Il Gchq ne è la versione moderna e aggiornata al mondo globale interconnesso della rete.

Gchq

 

La richiesta di Hanningan si fonda su considerazioni evidenti e anche oggettive che sottolineano lo sfruttamento della rete da parte di organizzazioni criminali e terroristiche (e già questa confluenza è significativa!) a fini illeciti: dalla propaganda al reclutamento, dallo scambio di informazioni e piani di azione alla formazione.

Ovviamente la richiesta ha suscitato un vespaio da più parti: chi ha ribadito ricordando il ruolo di Gchq in operazioni segrete, chi in termini di già eccessiva invadenza della agenzia nella privacy dei cittadini, chi sulla impossibilità e il diritto di “non controllo” sulla rete.

Come al solito la questione ha molte facce.

Certamente la presenza della agenzia britannica è già molto invasiva, anche attraverso la relazione forte che intrattiene con il privato inglese. Per esempio creò imbarazzo la vicenda della sparizione del Boeing Malese Mh370 per il fatto che Inmarsat ne abbia svelato la traiettoria. Allora in tanti cominciarono a pensare che la società partecipata dallo stato servisse per monitorare molto più di quello che Inmarsat palesemente offre! E forse tale atteggiamento “collaborativo” proprio delle company britanniche è quello che ha spinto il direttore a lanciare questa sua richiesta oltreoceano.

D’altra parte i grandi motori di ricerca già collaborano, se non con le agenzie di intelligence, di certo con le istituzioni. Gli stessi motori web segnalano al governo americano se emergono evidenze di attività di ricerca inusualmente intensa intorno a temi di interesse strategico nazionale. Insomma, se si rileva un uso non abituale di tag riguardanti aree, luoghi, persone, oggetti che rimandano a qualche asset strategico i motori informano di questa attività le autorità, identificando l’area di provenienza delle ricerche. In questo modo si attivano delle contromisure sia di intelligence sia di contro comunicazione per approfondire le ragioni di tale attività o di re-indirizzamento. Dunque la collaborazione già esiste forse ben oltre quanto i cittadini utenti della rete si possano aspettare.

E sarebbe altresì ingenuo pensare che l’inesauribile serbatoio di informazioni che contiene la rete (informazioni mai dimenticate!) non fosse quotidianamente scandagliato: nel nostro piccolo lo facciamo tutti anche al primo incontro con una persona. O no?

Il problema si pone quando questa “curiosità” si istituzionalizza e si arricchisce delle potenzialità tecnologiche che solo le grandi organizzazioni hanno: oggi questo si chiama soprattutto SocMInt (Social Media Intelligence) e si avvale di nuovi sofisticati motori di ricerca semantica e di potenze di calcolo enormi (stiamo ragionando intorno ai 15milioni di stringhe semantiche, “frasi”, analizzate quotidianamente per ottenere un qualche risultato).

Insomma è la rete che genera curiosità e si propone come ampio spazio di ricerca.

Ma – il grande Ma! – proprio per questa sua inevitabile offerta, prima ancora di pensare a come regolamentare la rete, è la rete stessa che interroga noi tutti sul nuovo rapporto istituzioni e cittadini che il mondo digitale globale richiede. Senza un nuovo patto tra cittadini e istituzioni, infatti le tentazioni orwelliane del controllo su tutto e su tutti saranno delle sirene sempre più minacciose per i cacciatori e detentori del potere. A nostre spese.

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