Li hanno chiamati “angeli del fango” tutti quei giovani che sono andati a Genova a dare un proprio contributo dopo l’alluvione che ha messo in ginocchio, ancora una volta, la città. Una semplificazione giornalistica che, anche stavolta, non rende l’idea. In realtà sono i giovani che inorgogliscono questo Paese, che di orgoglio ormai – giustamente – non ne ha più. Sono i ragazzi e le ragazze che all’estero fanno dimenticare l’immagine di Silvio Berlusconi che fa il gesto delle corna alla Merkel o di Matteo Renzi che – forte del suo 40 per cento in parlamento europeo – si presenta davanti alle telecamere straniere con un inglese imbarazzante e spot da bar.

Per fortuna che ci sono questi giovani (alcuni, non tutti chiaramente), e ci sono sempre stati. C’erano anche nel 2009 quando L’Aquila fu colpita dal sisma. Anche quella volta, mentre gli imprenditori ridevano al telefono, i ragazzi erano lì a sollevare le macerie di una scuola e a vedere i corpi senza vita di chi aveva l’unica colpa di aver dormito nella propria stanza.

Alcuni di quei giovani li conoscevo: ricordo ancora quando quando alcuni amici dissero la frase “Andiamo a L’Aquila, adesso” e andarono davvero. 

Sono gli stessi che adesso affollano le strade di Genova, che ora rischia rischia di diventare il solito teatrino di campagne elettorali. Grillo ha già annunciato che oggi sarà nel capoluogo ligure: le alluvioni sono iniziate sabato.

Renzi su Facebook ha ribattuto: “Nessuna passerella politica, stanziamo due miliardi”. Peccato che già il 5 agosto scorso le stesse aziende che dovevano occuparsi della messa in sicurezza del Bisagno hanno scritto a Palazzo Chigi: “Rimandare e temporeggiare ancora espone la collettività al concreto rischio di riaccendere la tragedia del novembre 2011”. Ma non hanno ottenuto risposta.

E mentre la politica giunge sempre dopo le tragedie, alcuni giovani sono riusciti ad arrivare in tempo: sono lì a mani nude tra il fango, senza neanche che la protezione civile gli fornisca guanti e pale.

Hanno forza, non credo che si possa dire lo stesso della speranza. Gliela hanno tolta con quella giungla di contratti, che a volte sono costretti ad accettare. In Italia il tasso di disoccupazione giovanile è al 44,2%. Il resto sono figli di contratti precari che durano al massimo un anno, come pure della partita Iva, dove circa la metà di ciò che si guadagna viene tassata. E sarebbe anche giusto qualora ci fossero servizi. 

In tanti, pur di lavorare, sono costretti ad accettare qualsiasi cosa. Solo nel secondo semestre del 2014 sono stati avviati 2.651.648 rapporti di lavoro dipendente. Di questi, 403.036 sono a tempo indeterminato, ossia il 15%. Il restante 85% sono contratti a tempo determinato. Poi ci sono i contratti di collaborazione (5,8%) e contratti di apprendistato (3,1%). 

Matteo Renzi, invece di guardare e ringraziare i giovani di Genova, dovrebbe semplicemente leggere questi dati e dare a loro un futuro in questo Paese. E di certo non è abolendo l’articolo 18 che si dà dignità al lavoro. 

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