Rimane in carcere Massimo Giuseppe Bossetti, il muratore di Mapello accusato di essere l’assassino di Yara Gambirasio, la 13enne di Bremabate di Sopra uccisa il 26 novembre 2010 e ritrovata in un campo di Chignolo d’Isola il 26 febbraio 2011. Nell’ordinanza del giudice per le indagini preliminari si spiega, in sostanza, che nei confronti del muratore – fermato il 16 giugno scorso – persistono i gravi indizi di colpevolezza e il pericolo di reiterazione del reato, emersi nell’ordinanza di arresto del 19 giugno che confermarono il carcere per il muratore di Mapello. I legali del 44enne hanno presentato per la seconda volta in una settimana l’istanza di scarcerazione al gip di Bergamo, che per la seconda volta l’ha respinta. L’11 settembre, il giudice Ezia Maccora ha dichiarato inammissibile la richiesta degli avvocati Silvia Gazzetti e Claudio Salvagni che non inviarono la notifica dell’istanza ai legali della famiglia Gambirasio, come previsto dal codice penale.

Il muratore di Mapello si trova nel carcere di Bergamo da circa tre mesi. Il 16 giugno lo Sco della polizia e il Ros dei carabinieri lo hanno fermato con l’accusa mossa dal pm Letizia Ruggeri di essere l’assassino della ragazzina scomparsa da Brembate nel tardo pomeriggio del 26 novembre. A lui gli investigatori sono arrivati dopo due anni e mezzo di indagini. Partendo dalle tracce lasciate sul cadavere della piccola, hanno setacciato migliaia di profili genetici delle valli bergamasche, fino ad arrivare a quello di Giuseppe Guerinoni, padre biologico di Ignoto 1 (come per anni i detective hanno chiamato il killer), che dal 16 giugno – secondo la Procura di Bergamo – ha il volto di Massimo Giuseppe Bossetti.

L’uomo, sostenuto dai suoi familiari e dai legali, ha sempre proclamato la sua innocenza. Ma su di lui pesano le tracce di Dna trovate sui leggings e le mutandine di Yara, che sono compatibili con il suo. Ma oltre alle tracce biologiche, a gravare sulla posizione di Bossetti ci sono gli indizi individuati subito dopo il suo fermo: come la vicinanza e la frequentazione dei luoghi dove Yara passava; i tabulati telefonici che lo collocano nella zona di Brembate Sopra il giorno e nell’ora della scomparsa delle ragazzina; la polvere di calce nei polmoni e sulle ferite della vittima; e il furgone bianco immortalato nelle immagini di una telecamera con una particolarità unica.

Bossetti, davanti al magistrato, ha sempre dato una spiegazione alle accuse che gli vengono rivolte. Ha spiegato che da sempre perde sangue dal naso, e che le tracce di Dna trovate sugli indumenti della ragazza potrebbero essere state lasciate dal vero assassino che ha utilizzato guanti o attrezzi rubati dal cantiere di Palazzago dove Bossetti lavorava nel 2011. L’uomo inoltre ha sempre sostenuto che il suo passaggio davanti ai luoghi frequentati da Yara, come la palestra, era dovuto ai frequenti spostamenti per motivi di lavoro.

Pochi giorni fa, però, è emerso un altro particolare dalle indagini. Dalle testimonianze dei colleghi di lavoro e dai tabulati telefonici, messi insieme dallo Sco e dal Ros è emerso che il muratore, il giorno della scomparsa di Yara, non si presentò cantiere in cui lavorava. Un fatto che smentirebbe quanto da subito ha affermato Bossetti, che davanti al pm aveva detto che quel 26 novembre era andato in cantiere a Palazzago come sempre, ed era poi passato da Brembate Sopra solo per recarsi a casa. Ma il nuovo aspetto, secondo i legali, non rappresenterebbe una novità, visto “che il particolare è stato già riferito dal nostro assistito agli inquirenti”.

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