Gli operai dell’Ilva morti per mesotelioma pleurico a causa dell’amianto presente nella fabbrica potevano essere salvati se solo l’azienda, a conoscenza della problematica, avesse agito tempestivamente. È quanto scrive il giudice Simone Orazio nelle motivazioni della sentenza con la quale il 23 maggio scorso ha condannato 27 ex dirigenti della fabbrica – tra i quali Fabio Riva ex vice presidente del gruppo condannato a 6 anni di carcere – accusati di omicidio colposo e disastro ambientale. Nelle 268 pagine, infatti, il magistrato scrive che se i vertici dello stabilimento avessero sottoposto a visite mediche adeguate i lavoratori, queste avrebbero consentito di “diagnosticare una patologia (es. placche pleuriche) che poteva essere un campanello d’allarme per il mesotelioma e che certamente avrebbe obbligato il datore di lavoro a non esporre più il lavoratore, affetto da tale problematica di salute, alle fibre di asbesto” e quindi a “valutare la incompatibilità del lavoratore rispetto alle mansioni sino ad allora espletate e quindi anche rispetto all’esposizione ad amianto, motivo per cui in questi casi l’accertamento sanitario avrebbe permesso di adibire il dipendente ad altre mansioni, sottraendolo al pericolo di morte”.

Ma la politica aziendale è sempre stata impostata al raggiungimento del massimo profitto. Anche a costo della salute degli operai. Lo scrive senza mezzi termini il magistrato spiegando che “gli interventi seri in materia di amianto nello stabilimento di Taranto sono stati sempre volutamente evitati” proprio perché avrebbero determinate un blocco e una ripartenza dell’attività produttiva oltre che “uno stravolgimento degli impianti e l’investimento di notevolissime somme di denaro”. Ma per salvare la salute dei dipendenti, i vertici dello stabilimento – pubblico fino al 1995 e poi venduto ai Riva – avrebbero potuto almeno fornire un’adeguata attrezzatura e invece le testimonianze in aula hanno chiarito che agli operai venivano date in dotazione solo mascherine respiratorie “usa e getta” che gli esperti hanno definito “del tutto inadeguate”.

Insomma, una “situazione di consapevole e lucida omissione” che secondo il tribunale “si è perpetrata per decenni, essendo sotto gli occhi di tutti nel senso che l’inerzia è stata maturata e voluta sia da colore che avevano ruoli operativi e che pertanto erano a conoscenza delle inaccettabili condizioni in cui costringevano a lavorare i dipendenti sia da parte di color che avevano responsabilità manageriali, gestionali e di controllo finanziario data l’assenza dl alcuno stanziamento al riguardo”. Una scelta scellerata che, però, non ha colpito solo i lavoratori della fabbrica, ma si è trasformato nel disastro ambientale che ha colpito “tutta la popolazione di Taranto e dei comuni limitrofi, complessivamente pari a quasi trecentomila abitanti”.

Un disastro che è il frutto di “una logica di organizzazione dei fattori produttivi” e di “una pianificazione delle linee di politica del lavoro e della salute del lavoratori” determinate dalla “scelta compiuta dai vertici con la colpevole complicità del loro collaboratori”, ma certamente avvenuto anche grazie “all’inerzia degli altri pubblici poteri che avrebbero potuto e quindi dovuto far sentire la propria voce”. Eppure anche oggi l’unica voce che continua ad alzarci in difesa della salute è quella dei cittadini. Nelle scorse ore, infatti, i pediatri di Taranto hanno scritto per la seconda volta al presidente del Consiglio dei ministri, Matteo Renzi chiedendo un incontro. Una prima lettera era stata inviata ad agosto, ma da Palazzo Chigi non era giunta alcuna risposta. Ora i medici ci riprovano: “sapendo della sua venuta in Puglia per l’evento delle Fiera del Levante ci permettiamo di reiterare la richiesta. La situazione ambientale e sanitaria tarantina – scrivono i pediatri – è grave per come da sempre riportano i dati sanitari cui da ultimo si è aggiunto l’aggiornamento dello studio Sentieri con i suoi terribili report sulla mortalità infantile. L’allarme sociale è altissimo. Noi pediatri, da sempre al fianco delle famiglie e dei bambini pensiamo di potere dare un utile contributo ai decisori politici, sempre che lo vogliano”.

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Ilva: morire in fabbrica per ‘lucida e consapevole omissione’

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