In attesa che la riforma della Giustizia del ministro Andrea Orlando prenda corpo si riapre il dibattito sulle intercettazioni. Con un caso, che riguarda un deputato del Pd, per il quale la Camera ha concesso l’autorizzazione parziale delle conversazioni captate dagli inquirenti. 

E così capita che a Montecitorio si sia votato per autorizzare l’uso delle intercettazioni di Francantonio Genovese, finito nel mirino della Procura di Messina che ne ha chiesto e ottenuto l’arresto. Ebbene l’onorevole già bersaglio di un mandato di arresto per associazione a delinquere, riciclaggio, peculato e truffa ha visto i colleghi dare il via libera alla magistratura il 15 maggio scorso. Ma sempre alla Camera è poi successo il 7 agosto che gli stessi abbiano invece sbarrato la strada per l’utilizzo di un parte delle intercettazione. I deputati fanno un distinguo netto, e a prima vista incomprensibile, tra un prima e un dopo ovvero tra l’utilizzo delle captazioni delle conversazioni effettuate prima che fosse formalmente iscritto  nel registro degli indagati (12 dicembre 2011) e quelle successive, cioè quando da parlamentare della Repubblica, secondo la legge vigente, i magistrati avrebbero dovuto chiedere l’ok all’ascolto. E così l‘uso processuale delle prime intercettazioni è stato autorizzato, ma non l’utilizzo delle seconde.

E non si può sapere quale danno avrà l’inchiesta dei magistrati siciliani sull’appropriazione dei fondi assegnati per lo svolgimento dei corsi di formazione attraverso gli Enti di formazione e società appositamente create dell’ex sindaco di Messina. Certo è che appare paradossale che si debba invocare una via libera intercettare le conversazioni di un potenziale criminale benché parlamentare della Repubblica per il banalissimo motivo che anche con il consenso dell’Aula l’intercettazione – telefonica o ambientale che sia – sarà con ogni probabilità inutile perché chi parla è perfettamente a conoscenza che c’è un poliziotto, un carabinieri o un finanziere in ascolto che prende appunti e registra. 

 

Sono stati 391 i deputati che si sono espressi a favore, 16 quelli contrari, per la prima tranche di intercettazioni mentre l’Aula ha negato, accogliendo la richiesta della Giunta, l’autorizzazione ad utilizzare le intercettazioni dopo quella data. A favore si sono espressi 319 deputati (Pd compreso) e contro in 95. Si era opposto il M5s, che avrebbe voluto autorizzare tutto, ma è finita comunque come è finita.

Alla luce anche di questo strano caso il nodo intercettazioni, su cui comunque il premier Matteo Renzi ha detto chiaro e tondo che bisognerà mettere mano, sta diventando un tema sempre più delicato. Intanto Guardasigilli venerdì 8 agosto in colloquio con il Fatto Quotidiano ha assicurato che le indiscrezioni sulla bozza di modifica della legge sulle intercettazioni in merito al divieto per tribunali e stampa di servirsi di verbali di registrazioni, non corrispondo al vero: “Al momento non c’è alcun lavoro normativo che riguardi modifiche alla legge sulle intercettazioni – ha garantito il ministro –. Abbiamo già detto tante volte che non ci saranno interventi che riguardino restrizioni alle indagini: l’area di discussione riguarda solamente la diffusione delle intercettazioni penalmente non rilevanti”. Poi ha assicurato che “come ha detto il presidente del Consiglio Renzi durante la conferenza stampa del 30 giugno in cui abbiamo presentato le linee guida, prima di ogni decisione ci sarà un grande confronto con gli operatori dell’informazione per capire come trovare un bilanciamento tra il diritto alla privacy e quello all’informazione. Fino a quando non sarà avviato e concluso quel confronto, non ci sarà nessun testo su questo punto. Mentre sul resto della riforma il confronto sta avvenendo a valle, cioè sulla base di proposte già articolate, su questo tema il confronto precederà il lavoro normativo”.

 

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