Il contratto aziendale di Fiat, sottoscritto alla fine del 2011 in sostituzione di quello in vigore a livello nazionale per i metalmeccanici, dovrebbe diventare “un modello per un’Europa e un’Italia nuova, che cominci ad affrontare la concorrenza in una maniera aperta”. A dirlo è Sergio Marchionne, a margine del Consiglio Italia-Usa a Venezia. Nonostante il gruppo Fiat-Chrysler sia alle prese, in Italia, con una difficilissima trattativa per il rinnovo della parte economica dell’accordo – arenatasi martedì a causa dell’eccessiva distanza tra le richieste dei sindacati e l’offerta massima del Lingotto – l’amministratore delegato non ha dubbi: “Una multinazionale che ha 300 mila dipendenti in tutto mondo”, ha sentenziato, “non può più essere limitata da rimasugli di accordi nazionali”. Per questo “abbiamo fatto la scelta piuttosto chiara di uscire da Confindustria e di fare accordi sindacali direttamente con i rappresentanti dei nostri lavoratori”. Strada che, per il manager, dovrebbe essere seguita da altre aziende nel Paese – dove peraltro il governo Renzi parla apertamente di superamento della concertazione – e magari anche nel resto del continente. Poco importa che con i dipendenti sia in corso un nuovo braccio di ferro e che anche la crème, gli operai della Maserati di Grugliasco, i cui nuovi modelli stanno battendo tutti i record di vendite, sia in agitazione. 

Chiusura totale anche sul fronte dell’aumento salariale una tantum di 300 euro sollecitato da Fim, Uilm, Fismic, Ugl e dall’Associazione quadri Fiat: “Considerate le condizioni del Paese, che figura stiamo facendo? Non si possono chiedere soldi quando si perde”. Come dire: in Italia (come peraltro nel resto d’Europa) le attività del gruppo sono in perdita. L’utile 2014, che dovrebbe attestarsi tra i 600 e gli 800 milioni, arriverà da Oltreoceano. Quindi, altro che aumenti. 

Un discorso non gradito dal sottosegretario all’Economia Pier Paolo Baretta, che parlando all’AdnKronos ha definito “inadeguata” la riflessione di Marchionne perché “pone un problema vero ma senza valutare tutte le implicazioni”: secondo Baretta “il rapporto tra risultati aziendali e produttività regge ma, all’azienda va detto che cosa si intende per produttività, non è il solo calcolo orario ma la condizione complessiva del lavoro”. Il manager italo-canadese non gradirà, considerato che all’esecutivo ha garantito un’ampia apertura di credito: se dieci giorni fa, dal Festival dell’Economia di Trento, aveva detto che l’agenda del premier “è oggi l’unica che abbiamo in Italia e in Europa”, e “spero lo ascoltino”, sabato l’ad ha auspicato che l’esecutivo italiano vada a rimpiazzare in Europa “quello che è il ruolo tradizionale della Francia”, facendo da contraltare al “discorso tedesco di austerità in conseguenza degli eccessi di bilancio”. “Sono quasi vent’anni che ho a che fare con Bruxelles”, ha aggiunto, “e ho sempre trovato un muro di gomma nell’assumere la responsabilità delle scelte da fare. E’ arrivato il momento di voltare pagina”.

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