Si avvicina un appuntamento importante per il Banco Popolare, da anni alle prese con il fardello di crediti “avariati” che continuano a zavorrare conti e performance della banca. Nei prossimi giorni dovrebbe entrare nel vivo la partita per la cessione di Release, la “bad bank” creata nel 2009 per affidare a una gestione separata i prestiti a rischio che facevano capo a Banca Italease una delle controllate del gruppo particolarmente attiva nel settore immobiliare, con tanto di guai giudiziari legati alla gestione Faenza e, più in generale, all’eredità dell’ex ad della Popolare di Lodi, Gianpiero Fiorani. Lo scopo, come per tutte le bad bank, era quello di sgravare, almeno formalmente, i bilanci della controllante di parte delle perdite. E, dove possibile, limitare i danni rinegoziando i prestiti e diluendone le scadenze. Complice una fase economica non certo favorevole, i risultati sinora ottenuti non sono stati quelli sperati, visto che la zavorra sembra essersi alleggerita poco o nulla. Alla fine del 2013 Release si teneva in pancia crediti deteriorati lordi per 2,6 miliardi di euro, circa l’80% dei 3,3 miliardi di impieghi della società. Un anno prima le esposizioni a rischio ammontavano a 2,7 miliardi di euro.

In particolare dentro Release si trovano i ‘cocci’ di molte audaci operazioni nell’immobiliare poi finite male. Più nello specifico ci sono crediti incagliati per mezzo miliardo di euro concessi al gruppo Statuto e 156 milioni di prestiti al gruppo Lombardi Stronati, ormai classificati esplicitamente come sofferenze. E poi 50 milioni al gruppo Aedes immobiliare al momento iscritti a bilancio come ‘incagli’ (la fase che spesso precede l’ingresso nella categoria delle sofferenze), 71 milioni prestati a Dimafin e ora “sofferenze”. E, ancora, 12 milioni dati al gruppo Zunino (anche questi sofferenze) e finanziamenti per 76 milioni di euro al gruppo Coppola al momento ancora classificati come in bonis.

Release, di cui banca Italease possiede l’80% (la quota restante è divisa tra Bper, Popolare di Sondrio e BPM), incide molto sul complesso delle posizione deteriorate che fanno capo alla società madre e ammontano a 4 miliardi euro. Il fardello non è indifferente neppure se rapportato all’intero gruppo Banco Popolare. Da tempo i crediti malati sono il tallone di Achille della banca. Le esposizioni deteriorate lorde sono salite dai 13 miliardi del 2010 agli attuali 19 (su 85 miliardi di crediti alla clientela che fanno capo al gruppo). Anche su sollecitazione di Banca d’Italia il Banco Popolare è stato obbligato in questi anni a destinare sempre più risorse per la copertura di queste potenziali perdite. Nonostante gli ultimi interventi (svalutazioni per 1,7 miliardi solo nel 2013) il gruppo continua a presentare un tasso di copertura – la quota di perdita sui crediti dubbi già messa in bilancio – bassa rispetto agli altri grandi gruppi bancari, pari al 37,6 per cento. Da questo punto di vista il primo trimestre del 2014 si è chiuso senza segnali di miglioramento.

Il Banco Popolare giustifica questa timidezza nella “pulizia” con le garanzie reali (immobili) legate ai crediti concessi e che – alla fine dei lunghi iter giudiziari – consentirebbero alla banca di recuperare una parte significativa del finanziamento. In prospettiva la vendita di Release dovrebbe apportare qualche sollievo. Tuttavia bisogna tenere presente che chi compra lo farà se le valutazioni di quanto è possibile recuperare dai crediti dubbi saranno realistiche. Un passaggio chiave che non permette di escludere ulteriori perdite da caricare sui bilanci.

La vendita di Release, in ogni caso, dovrebbe avvenire attraverso lo spacchettamento della società in tre tronconi. Il primo con i prestiti accompagnati da garanzie reali, un secondo con i crediti dubbi senza garanzie e un terzo con i crediti che presentano pagamenti regolari. Interessati all’operazione ci sarebbero il gruppo statunitense Pimco insieme alla holding Gwm di Sigieri Diaz della Vittoria Pallavicini, la cordata Prelios-Fortress e il fondo americano Blackstone, noto alle cronache tra l’altro per aver acquistato alcuni degli immobili di Rcs tra cui la sede del Corriere della Sera in via Solferino. 

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