Mercoledì 14 maggio gli azionisti dell’Unità decideranno il destino del quotidiano fondato nel 1924 da Antonio Gramsci, decideranno in particolare se mantenere in vita o liquidare la casa editrice del giornale, la Nuova iniziativa editoriale (Nie). Per questo è stata convocata un’assemblea straordinaria dei soci (prevista in seconda convocazione per il 16 maggio). Sul tavolo ci sono due alternative: la prima è investire nuovamente nella Nie per garantirne la continuità aziendale, la seconda opzione è invece liquidarla e valutare se continuare a pubblicare l’Unità attraverso una nuova società. Secondo i dati più recenti, da inizio 2013 fino al 31 luglio scorso sono state accumulate perdite per 2,1 milioni di euro, che si vanno ad aggiungere a quelle degli esercizi precedenti, superiori a 10,5 milioni di euro. In tutto quasi 12,7 milioni.

La possibilità che venga chiusa la casa editrice del quotidiano del Pd non è del resto così peregrina se, già il 7 maggio scorso, il sindacato interno dei giornalisti (cdr) ha descritto in un comunicato la Nie come “una società che sembra essere arrivata al suo capolinea”. Lo stesso sindacato nazionale Fnsi (Federazione nazionale stampa italiana) non solo ha confermato nella nota dell’8 maggio il timore per cui “l’assemblea dei soci potrebbe deciderne la liquidazione” ma ha fatto anche riferimento all’ipotesi di “eventuali nuovi assetti societari”. Nell’attesa prolungata di chiarimenti e di un nuovo piano industriale annunciato ma mai presentato, i poligrafici del quotidiano hanno protestato con uno sciopero lunedì 12 maggio dopo che la redazione di Luca Landò si aveva incrociato le braccia l’8 e il 9 maggio.

Se l’Unità dovesse essere pubblicata da una nuova società, il rischio per i lavoratori è che non venga confermato tutto il personale. La Fnsi ha già definito “fondamentale” che col passaggio societario “vengano tutelati gli attuali livelli occupazionali ferma restando la disponibilità del sindacato dei giornalisti a discutere degli interventi necessari per razionalizzare e ridurre i costi”. Intanto, però, i redattori rimangono in regime di solidarietà con retribuzioni decurtate e devono ancora ricevere lo stipendio di aprile mentre i collaboratori esterni aspettano che vengano pagati tutti gli articoli in sospeso.

A decidere le sorti aziendali saranno i principali azionisti della Nie, in primo luogo il socio di maggioranza con il 51% del capitale Matteo Fago. Al timone della società dallo scorso autunno, il fondatore del sito di viaggi Venere.com non sembra più molto motivato a continuare nel suo investimento a causa dei rapporti mai idilliaci col Partito democratico. Fago ha comunque allo studio il progetto di proseguire la sua attività come editore, ma solo una volta liquidata la Nie. Non sembra maggiormente coinvolto nell’avventura editoriale il secondo azionista Maurizio Mian (con quasi il 18,2%) che alla Nuova iniziativa editoriale ha già chiesto indietro 4 milioni di euro prestati in differenti tranche.

Con circa il 13,9% compaiono altri due soci nella compagine di riferimento, ma nessuno dei due ha dato segnali di voler allontanare il pericolo chiusura dall’Unità: Renato Soru, fondatore di Tiscali ed ex governatore della Sardegna per il centrosinistra, è già stato editore del quotidiano e durante la sua stessa gestione ha dichiarato più volte di voler uscire dal giornale, ma solo in un secondo momento è riuscito a ridurre progressivamente le sue quote per lasciare le redini aziendali a Fago. C’è infine la Partecipazioni editoriali integrate (Soped), controllata al 90% dall’ex senatrice di Forza Italia amica di Valter Lavitola Maria Claudia Ioannucci, contro la cui presenza nel capitale la redazione dell’Unità ha già protestato e scioperato. Dopo un passaggio di azioni attraverso Alfonso Dell’Erario, ex marito della Ioannucci e responsabile comunicazione del Gruppo 24 Ore, adesso completa l’azionariato della Soped l’86enne Filomena Sette, socio al 10% e amministratrice della società dal gennaio scorso. Prima ancora l’imprenditrice abruzzese, di cui la Ioannucci è procuratore, era stata tra il resto amministratrice della Irec, dalla quale era uscita poco prima dell’esplosione del caso Panama-Lavitola nel 2011, che aveva sfiorato anche la società di consulenza immobiliare nel frattempo passata nelle mani della 27enne brasiliana Danielle Louzada

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