Tra Tom Boonen e Fabian Cancellara spunta Niki Terpstra. La Parigi-Roubaix 2014 va al ciclista della Omega Pharma-Quickstep, che beffa i due grandi litiganti e favoriti di giornata. L’olandese, che aveva già sfiorato la vittoria nel 2013 (arrivando terzo), approfitta di un finale incerto per beffare tutti. E se Boonen può consolarsi con l’orgoglio per una grande prestazione, a Cancellara non basta il terzo posto finale per riscattare una prova sottotono. La Parigi-Roubaix è un inferno lastricato di sassi. L’unica corsa che non si decide in salita e neppure in volata: ma tra pietre e cadute, fango e forature, prima di arrivare sulla pista del velodromo. E anche quest’anno ha regalato emozioni. Merito soprattutto di Tom Boonen. Il belga, dopo mille problemi di cocaina e depressione, ha corso con un sogno in testa: staccare Roger De Vlaeminck in cima all’albo d’oro, conquistare la quinta vittoria e il titolo di “Monsieur Roubaix”. Sapeva di dover rischiare e non ha avuto paura di farlo, dando vita all’attacco a circa 70 chilometri dall’arrivo che ha animato a lungo la corsa. Inutile, ma lodevole: sarà decimo alla fine.

In precedenza le battute iniziali della corsa erano state caratterizzata dalla solita fuga senza speranza di Boucher, de Haes, Schillinger, Kolar, Koretzky, Jarrier, De Troyer e Murphy. Anche loro meritevoli di menzione. Per le azioni decisive quest’anno, a differenza degli altri, bisognerà attendere i chilometri finali. Ma i primi brividi arrivano già nello storico tratto nella Foresta di Arenberg (che a luglio sarà anche un arrivo di tappa del Tour de France). I tifosi vi si accampano giorni prima per veder passare i ciclisti. Anche a 100 chilometri dal traguardo può far danni: lo impara a sue spese Alexander Kristoff, fresco vincitore della Milano-Sanremo, che fora e resta attardato; rientrerà poco dopo, per poi ricadere e ritirarsi. Poteva essere un outsider, è la prima vittima illustre della giornata.

La corsa si accende poco dopo: la miccia, probabilmente, è la caduta che coinvolge Cancellara. Sull’asfalto e non sul pavé, perché la Roubaix sa essere sempre imprevedibile: Irizar, compagno di squadra dello svizzero, nel tentativo maldestro di salire su un marciapiede cade e spezza in due il plotone. E il suo capitano per un po’ resta indietro. Tom Boonen lo vede e attacca. Dura una trentina di chilometri, e al ricongiungimento si scatenano i big. Attaccano prima del Carrefour de l’Arbre: Peter Sagan da solo, Cancellara, Vanmarcke, Degenkolb e Stybar a seguire. Procedono insieme ma si guardano di traverso: Cancellara e Vanmarcke sono maestri del pavé, Degenkolb e Sagan della volata. Tutti hanno paura di tutti, e da dietro rientrano.

Così arrivano in undici a giocarsi la vittoria negli ultimi chilometri. Non accadeva da tempo. E nell’incertezza spunta Terpstra: l’olandese coglie l’attimo fuggente a cinque chilometri dal traguardo. Attacca sull’asfalto, guadagna cento metri. Gli altri si guardano, non lo prenderanno più. E dalle classiche di primavera 2014 arriva un’altra grande sorpresa. Il gruppetto, distante pochi secondi, viene regolato dal tedesco Degenkolb. Terzo, deluso e deludente (più per la prestazione anonima che per il risultato comunque dignitoso), Cancellara.

In questo spettacolo lungo 257 chilometri gli italiani non si vedono mai. In assenza di Alessandro Ballan, l’azzurro con più feeling col pavé (ma attualmente squalificato per doping), gli unici con qualche chance erano Filippo Pozzato (secondo nel 2009) e Luca Paolini. Nessuno dei due ha chiuso nei primi venti. Ma del resto la Parigi-Roubaix (eccezion fatta per gli anni dei grandi Moser e Ballerini) non è mai stata la nostra corsa: 13 vittorie in 112 edizioni. L’ultima firmata da Andrea Tafi nel 1999. La prossima chissà quando.

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