Il governo intende giustamente mettere il limite di 238.000 euro per gli stipendi dei dirigenti della Pubblica Amministrazione e dei manager delle società pubbliche o partecipate dallo Stato. Dirigenti apicali e manager pubblici hanno beneficiato finora di trattamenti economici esagerati in virtù della loro contiguità con il potere politico. Si propone adesso di commisurare le loro retribuzioni massime a quella del Presidente della Repubblica.

Vi è tuttavia una curiosa dimenticanza in tutto ciò: nessun limite viene stabilito infatti per i giudici della Corte Costituzionale. Matteo Renzi si è limitato ad auspicare che i poteri dotati di autonomia provvedano anche loro. Auspicio destinato chiaramente a non avere conseguenza alcuna posto che la retribuzione dei giudici della Corte Costituzionale è fissata da una legge costituzionale, la 87 del 1953, modificata in senso più favorevole da una legge voluta dal governo Berlusconi, la 289 del 2002. Il trattamento dei giudici costituzionali è dunque oggi commisurato alla retribuzione del primo Presidente della Corte di Cassazione, vale a dire 311.000 euro lordi annui, aumentato della metà.

L’indennità del Presidente della Corte è incrementato di un ulteriore 20%. A queste cifre, già molte elevate (467.000 euro circa per un giudice ordinario, 550.000 per il Presidente) si sommano una indennità giornaliera, pari ad un trentesimo della retribuzione mensile di un magistrato ordinario, ed un beneficio fiscale: l’imponibile è pari solo al 70% della retribuzione. Solo per fare qualche paragone, i giudici della Corte suprema del Regno Unito ricevono un appannaggio di 235.000 euro, gli omologhi canadesi percepiscono 216.000 euro, il Presidente della Corte suprema Usa prende 173.000 euro. La Corte costituzionale costa 61,5 milioni di euro all’anno – circa quattro volte quella britannica – e, in proporzione al numero dei membri, due volte e mezzo il Senato. Contrariamente a quanto ha lasciato intendere Renzi, il trattamento dei giudici costituzionali può essere modificato solo con una legge costituzionale e dunque, di fatto, solo con una iniziativa del governo.

Si potrebbe così tornare alla disciplina originaria prevista dalla legge del 1953, che si limitava a commisurare la loro retribuzione a quella del primo presidente della Corte di Cassazione, eliminando inoltre la diaria ed il beneficio fiscale. Se poi si volesse togliere solo l’aumento concesso nel 2002 basterebbe una legge ordinaria, posto che si tratta di disposizioni inserite nella legge Finanziaria. Si avrebbe così un risparmio non trascurabile, ma soprattutto una dimostrazione di coraggio da parte del premier. Se non altro sgombrerebbe il campo dalle insinuazioni malevole secondo cui la cautela di Renzi sarebbe dovuta alla volontà di blandire la Corte in vista di probabili ricorsi contro le sue riforme. Insomma la stessa critica che si fece a Berlusconi quando 12 anni fa aumentò le indennità dei giudici costituzionali.

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