“Ho dovuto subire tre funerali nell’arco di sei mesi”. Antonella Godano è una ragazza di 32 anni. Vive a Crotone dove l’anno scorso ha perso il padre, una zia e un cognato. Tutti malati oncologici. Il tumore li ha divorati e non gli ha dato scampo. Elvezio Astorino è anche lui di Crotone. Fino al 2011 aveva un lavoro e gli mancava poco alla pensione. Adesso è a casa: lo Stato gli ha detto che può usufruire di due anni di riposo per curarsi da una malattia che lo sta uccidendo. Combatte contro un cancro: si è ricoverato per mesi, ha subito un delicato intervento chirurgico e lunghissime sedute di chemioterapia in un ospedale che non ha un adeguato polo oncologico.

Qui il mostro si chiama “ex Sin“. Era un sito di interesse nazionale, un’area che per oltre 70 anni ha illuso Crotone facendole credere di essere la “Torino del Sud“, una città industriale grazie all’ex Montedison e alla Pertusola. Due stabilimenti che lavoravano zinco, cadmio, piombo, rame e arsenico. Metalli pesanti che hanno contaminato questo pezzo di Calabria. Sfumato ogni progetto di sviluppo industriale, la disoccupazione è alle stelle. Il lavoro non c’è più e ai crotonesi sono rimasti solo i tumori. A nulla è servito, nel 2001, il decreto del ministero dell’Ambiente che aveva inserito l’area tra quelle da bonificare. L’ex Sin è lì. Fa bella mostra di sé assieme alle discariche di Tufolo e Farina oggi diventate “finte colline” dove gli alberi crescono sopra un cumulo di rifiuti speciali ed rsu. 

“Rappresentano – scriveva il ministero dell’Ambiente – un forte pericolo d’inquinamento sull’area circostante. Si sospetta la presenza di rifiuti sanitari e pericolosi. La vulnerabilità della falda e dei corpi idrici superficiali , la pericolosità dei rifiuti abbancati senza alcuna opera di protezione, la vicinanza a centri ad elevata densità abitativa, inducono a ritenere lo stato di compromissione dell’area a elevata pericolosità sanitaria ed ambientale”. Queste parole risalgono a 13 anni fa. Da allora non è stato fatto nulla. E intanto la gente muore di tumore. Lo studio epidemiologico “Sentieri”, per quanto riguarda Crotone, ha certificato gli “eccessi di mortalità”. E così sarà almeno fino al 2018 quando, stando alle previsioni del progetto realizzato dal ministero della Salute, si toccherà il picco dei decessi per malattie oncolocigiche.

Da un mese un gruppo di attivisti ha occupato il piazzale dell’impianto Eni dove è stato allestito un presidio con tanto di tende per la notte. “Siamo qui dal 30 gennaio” spiega il coordinatore della protesta Pietro Infusino, un ex consigliere comunale dei Verdi che punta il dito contro la multinazionale, già condannata dal Tribunale di Milano a pagare 56,7 milioni di euro per il danno ambientale di Crotone. Gli attivisti minacciano azioni eclatanti e tra i tanti striscioni esposti nel piazzale dell’Eni, ce n’è uno con la scritta “Ma il sindaco c’è?”. Il riferimento è a Peppino Vallone, primo cittadino di Crotone ed eletto presidente dell’assemblea regionale del Partito democratico.”Il nostro caro sindaco – sottolinea il coordinatore degli attivisti – è assente su tutti i gravi problemi della città. Non c’è mai. È impegnato in altre cose e forse preferisce fare incontri singoli con Eni. Dovrebbe spiegare perché questi incontri non si fanno mai a porte aperte. Per noi la situazione è molto grave. Ogni famiglia ha un morto per tumore”.

Per oggi è prevista una grossa manifestazione di protesta: “Se la città risponde bloccheremo la centrale. – conclude Infusino – Come minimo vieteremo l’accesso ai dipendenti. Noi chiediamo che i 56 milioni a cui è stata condannata la multinazionale vengano utilizzati per sostenere le spese dei malati oncologici”.

“Da parte nostra c’è la disponibilità a un confronto per trovare una soluzione, un progetto approvabile”. L’amministratore delegato della Syndial-Eni Giovanni Milani spiega che non c’è un’atteggiamento di chiusura della multinazionale. Anzi: “I 56 milioni che siamo stati condannati a pagare per il danno ambientale, li pagheremo. Sono già pronti e aspettiamo solo che ci dicano dove metterli. L’Eni si è impegnata in questi anni a presentare una serie di progetti di bonifica approvati dal ministero dell’Ambiente ma che non hanno ricevuto l’ok delle amministrazioni locali”. È proprio in Calabria, secondo i vertici dell’Eni, che si blocca l’iter della bonifica che costerebbe circa 150 milioni di euro: “Noi chiediamo che il progetto di bonifica sia sostenibile dal punto di vista ambientale, economico e sociale”.

Nonostante la malattia, Elvezio Astorino non lascia un attimo il presidio: “Sto provando sulla mia pelle cosa significa avere un tumore e ho paura per i miei figli e i miei nipoti. Mi sono ammalato per la mancata bonifica dell’area industriale. Alcuni alimenti sono coltivati vicini ai siti inquinati e cancerogeni. Evidentemente, come tanti, avrò mangiato qualcosa che mi ha fatto male. Veniamo prima avvelenati e poi abbandonati. La colpa è dei politici locali, dei sindaci che si sono succeduti e i dirigenti del Comune e dell’Asp i quali hanno certificato che i famosi cubilot delle fabbriche, utilizzati per i sottofondi delle strade, dei parcheggi e delle scuole, non erano cancerogeni. Il nostro territorio è tutto contaminato”. Elvezio è solo un numero per i dirigenti dell’Azienda sanitaria locale che, in una nota, fanno riferimento a dati senza fornirli: “Il tasso di incidenza delle malattie oncologiche è identico a quello delle altre province calabresi”.

Non la pensa così il dirigente del dipartimento di prevenzione “Spisal” dell’Asp di Crotone Franco Rocca. Una vita da sindacalista e, anche lui, ha diversi problemi di salute provocati dai veleni: “Ci sono state carriere politiche costruite sulle fabbriche. Basta vedere i nostri rappresentanti”. Rocca ha due figli che lavorano e studiano fuori dalla Calabria: “Lo faccio per loro. Non voglio nemmeno essere seppellito a Crotone. È una considerazione amara, ma è anche il fallimento della mia generazione. Qui la sinistra ha le maggiori responsabilità”.

“Non ce ne andremo mai”. Antonella Godano protesta davanti al piazzale Eni. Lo fa perché ha visto morire tre familiari nel 2013. Ma lo fa anche garantire un futuro al figlio: “Lasceremo il presidio solo dopo avere avuto delle risposte concrete dall’Eni. Deve scendere sul territorio e bonificare. Vogliamo vedere quali sono stati i rapporti che ha avuto finora con le nostre istituzioni. Non ce la facciamo più. I cittadini sono stanchi e chiedono i loro diritti. Stare i silenzio non può giovare al nostro territorio”.
il Fatto Quotidiano, 3 marzo 2014

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