Il Laos ha oggi “solo” 14 grandi dighe, con una capacità installata di 3200 Megawatt. Ma la sua intenzione è di realizzarne ben 100 con una capacità di 26mila megawatt.

Il fiume Mekong, che ha il più alto grado di biodiversità al mondo insieme al Rio delle Amazzoni, è in particolare interessato da una ventina di dighe, di cui almeno otto su territorio cinese, anche se quelle che procureranno più danni saranno appunto su territorio laotiano, ed in particolare un’enorme diga nel suo alto corso (laotiano), la diga di Xayaburi, ed una nel basso corso, diga di Don Sahong.

La diga di Xayaburi costringerà a ricollocare circa 2.100 persone, avrà un impatto diretto sulla vita di altri 200mila abitanti della zona, ma soprattutto si ripercuoterà su decine di milioni di abitanti a valle. Il grande fiume infatti vive del suo ciclo stagionale di piene: quando straripa lascia sul terreno allagato un fertile limo; è popolato da pesci per lo più migratori, che nascono tra gli scogli e le rapide che costellano il fiume a monte per poi andare a ingrassare a valle prima di risalire a deporre le uova. Il bacino del Mekong è il più grande terreno di pesca d’acqua dolce al mondo; la pesca è la base dell’economia locale ed è anche la principale fonte (il 60%) di proteine animali per gli abitanti della regione (fino all’80% per la popolazione rurale: e nel bacino del basso Mekong l’80% della popolazione è rurale e dipende da un’economia di sussistenza). La diga pregiudica la quantità d’acqua che arriva a valle, interrompe la migrazione dei pesci, stravolge i sedimenti e il ciclo dei nutrienti. I danni all’ecosistema si ripercuoteranno sulle popolazioni che vivono delle risorse del fiume.

Discorso analogo per la diga di Don Sahong, con delle ulteriori aggravanti. Infatti, essa, quando realizzata, segnerà la probabile estinzione in loco dell’orcella asiatica, una rara specie di delfino, di cui rimangono nel bacino del Mekong solo 85 esemplari. Ma i suoi effetti negativi si ripercuoteranno anche sul turismo, posto che interesserà direttamente le cascate di Khone, una delle maggiori attrattive naturalistiche del sud-est asiatico.

È un fatto che la Asian Development Bank che ha promosso progetti idroelettrici in larga scala nel passato non abbia esteso i suoi finanziamenti alle dighe sul fiume Mekong. Craig Steffensen, direttore per la Asian development Bank per la Thailandia, ha risposto alla richiesta di informazioni in questi termini: “Il punto di vista della banca è che gli impatti potenzialmente negativi dei progetti idroelettrici sul corso del fiume non sono ben conosciuti, e potrebbero superare i benefici dello sviluppo, specialmente quando si tengono in conto gli effetti cumulativi. Quindi sono necessari ulteriori studi”.

Della probabile fine del fiume Mekong non parleranno i telegiornali, non ne parleranno Licia Colò o Sveva Sagramola, passerà quasi inosservata. Del mondo globalizzato noi occidentali dobbiamo apprezzare solo gli aspetti apparentemente positivi. Non dobbiamo sapere che per far giungere quei prodotti da noi il gigante asiatico sta distruggendo i propri ecosistemi.

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