Nel post precedente ho suggerito una riflessione sui possibili effetti economici delle riforme elettorali e istituzionali proposte da Renzi. Qualche lettore ci ha subito visto una critica al leader Pd. Ma il post era del tutto neutro: trattava dei criteri per valutare le riforme in discussione; sosteneva l’importanza di evitare istituzioni potenzialmente estrattive, lontane dagli interessi popolari, e di promuovere invece istituzioni ‘inclusive’. Sembra che il mero invito a riflettere sia vissuto come un’offesa da taluni, per i quali l’unico criterio che conta è ‘fare presto’: su questo ha insistito anche Pina Picierno (Pd) ieri sera a Ballarò. Ma in realtà anche il Porcellum fu fatto ‘in fretta’ da Berlusconi e soci: un week-end! Solo che era una porcata.

Prima di entrare nel merito delle proposte renziane è dunque opportuno continuare a riflettere su costituzionalismo e democrazia. Nell’era moderna, almeno dalla Glorious Revolution del 1688, dalla Costituzione Usa (1787), e dalla rivoluzione borghese in Francia (1848), quando diciamo colloquialmente ‘democrazia’ intendiamo in realtà ‘democrazia liberale’: un regime dove la maggioranza assoluta non decide sulle questioni veramente importanti senza una maggioranza più larga, qualificata. Non intendiamo democrazia ‘popolare’, come a Cuba. Né democrazia ‘giacobina’, dove chi rappresenta il 51% può tagliare la testa agli avversari politici. Né la democrazia di Platone, dove solo i filosofi hanno il diritto di governare. Ma ‘attenzione!’, diceva Platone nel celebre paradosso della democrazia: “L’eccesso di libertà induce i cittadini a consegnarsi a un difensore, solitamente un demagogo, il quale sollecita le istanze irrazionali degli individui e riesce a farsi consegnare ‘democraticamente’ il potere, trasformandosi in tiranno, ed eliminando tutte le libertà della democrazia” (Franco Ferrari).

Chi è oggi, in Italia, il demagogo aspirante-tiranno descritto da Platone? Berlusconi? Grillo?! Qualcuno che ancora non si è rivelato? Ma in ogni caso – scrive il lettore ‘Magheggio’ -, non è forse colpa degli italiani che li votano? Acemoglu e Robinson osservano che quando (le istituzioni democratiche di) un paese declina(no), quando una casta estrattiva si installa al potere e riesce a svuotare progressivamente la democrazia di contenuto lasciando (quasi) solo le forme, cosicché per il corpo elettorale diventa difficile sostituirla o trovare alternative valide, allora gli elettori tendono a rivolgersi a un leader populista, che promette di liberare il paese da quegli sfruttatori. Per far ciò, spesso il leader populista chiede maggiori poteri, e di cambiare la Costituzione. Ma una volta ottenuti, ridotti i condizionamenti delle minoranze e degli altri poteri dello Stato, egli si ritrova le stesse opportunità di utilizzare le istituzioni per conservare il potere, le stesse domande di favori e arricchimento dai suoi: e nessuno in grado di limitarlo. Quasi inevitabilmente, segue un aggravamento del declino.

Il caso di Peròn e di Roosevelt è emblematico dei diversi destini dei due continenti americani. Peròn nel 1947 chiese ed ottenne dal Parlamento di riformare la Costituzione argentina, per mettere sotto controllo la Corte Suprema che gli si metteva di traverso. Da allora ‘aggiustare’ la Costituzione è divenuta un’abitudine dei leader populisti, e la Corte Suprema è diventata un organo politicizzato. La qualità dei governi è crollata. Il Pil pro capite, non dissimile dagli Usa nel 1947, è oggi un terzo.

 gdp-argentina

Roosevelt nel 1938 presentò la stessa richiesta al Congresso Usa, e con più ragioni, dato che la Corte Suprema si opponeva con pretestuosi cavilli al New Deal. Ma il Congresso, controllato dal suo partito, il Pd, disse no: anche se nello specifico egli aveva ragione, le istituzioni democratiche, l’equilibrio e la suddivisione del potere erano valori di fondo troppo importanti. Questa è l’essenza della democrazia liberale: ‘il giorno dopo’ le elezioni non c’è un ‘vincitore’ assoluto, un sindaco insindacabile, un uomo al comando con i pieni poteri, ed insostituibile perché eletto dal popolo; ma un insieme di istituzioni che lo controllano, talvolta lo limitano, gli chiedono conto, e se necessario lo sostituiscono.

L’intuizione ‘costituzionale’ è nel nostro Dna, essendo alla base del successo di Roma antica. Lascio la parola all’archeologo Andrea Carandini che in vent’anni di scavi nel Foro è riuscito a trovare impressionanti riscontri di quelli che finora erano considerati i ‘miti’ della fondazione di Roma (inclusa la Constitutio Romuli).

In Oriente, la città e lo stato si sono incentrati su un palazzo fortificato, ‘proibito’, corte di un sovrano assoluto, ed era in questa fastosa dimora che il despota prendeva le sue decisioni. In Occidente, al contrario, le città-stato antiche si sono incentrate… sulla elevata acropoli e… sull’agorà o foro nella città bassa… centri sacrali e politici di una ‘cosa pubblica’. Se la città-stato, all’origine, è retta da un monarca, essa appare tuttavia di tipo ‘costituzionale’… La casa del re, infatti, appare alquanto modesta… [indice di] un potere limitato da altri corpi, quali il consiglio degli anziani e l’assemblea popolare…”

Esiste ancora [oggi] un legame storico-identitario con i primi romani? O Romolo equivale a un re primitivo di una qualsiasi altra parte del mondo? Io credo che un legame con … il tempo di Omero e di Romolo sussista ancora, sia vivo, e consista nella scoperta che gli antichi fecero – in Grecia, in Etruria, a Roma – di un modo peculiare di vivere organizzati, di un dispositivo sacrale-giuridico-politico-statale per il quale vari corpi della comunità (il re, l’aristocrazia e il popolo) riescono a convivere mitigando il potere centrale entro un’organizzazione unica, che possiamo chiamare, con gli antichi, ‘costituzione mista’. Si tratta dell’arte difficilissima di essere concordi al di sopra delle discordie, di dividersi senza considerarsi nemici… La Storia … orientale [invece, venne] fondata su città e regni a carattere intrinsecamente dispotico… La nostra identità pre-cristiana riguarda pertanto non solamente il ius dei Romani… ma anche il più ampio dispositivo politico-costituzionale statale”.

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