Sul pianerottolo il cane abbaia forte. “Venga, smette solo se sente il suo odore”. La signora Antonietta parla con un filo di voce. Porta un giaccone scuro sulle spalle, cammina strisciando un paio di pantofole rosa. E fuma, una sigaretta dopo l’altra. Da lunedì si ritrova con un figlio latitante e l’altro ammazzato, mentre davanti al tribunale di Gallarate aiutava il fratello a scappare. Destini incrociati quelli di Domenico e Antonino Cutrì: il primo, 32enne ergastolano, boss della droga, ora in fuga, il secondo, più giovane di 13 mesi, che in testa aveva una sola ossessione: “Liberare Mimmo”. Ci è riuscito, ma è morto. Ucciso durante la fuga con un solo colpo tra collo e schiena.

“Mio figlio non deve costituirsi”. Antonietta lancia un messaggio. “Suo fratello è stato ucciso, e ora lui non può tornare indietro, non deve, perché altrimenti Nino è morto invano”. Ed è stata lei, lunedì sera, a portarlo in ospedale. “Hanno suonato al citofono, sono uscita in pantofole, c’era uno sconosciuto su un’auto, Nino stava dietro, era vivo, sanguinava. Sono salita e ho guidato fino al prontosoccorso, poi quell’uomo è sparito”. Sta appoggiata a un mobiletto di legno all’ingresso. L’appartamento è in via Leopardi 12 a Inveruno. Zona di villette e alla fine, sulla destra, questa palazzina popolare. Sopra la finestra del balcone si riconosce una mini-telecamera che rimanda le immagini su uno schermo appeso tra la cucina e il salotto. Alle pareti color crema si notano quadri di paesaggi campestri, un grande specchio, il modellino di un veliero sul cassettone antico, e l’elegante divano bianco messo davanti a un enorme televisore al plasma.

Antonietta ha gli occhi gonfi. Sta in piedi, poi si siede, si rialza, accende un’altra sigaretta. Per tutta la notte è stata sentita dai magistrati della Procura di Busto Arsizio che stanno ricostruendo la dinamica dell’evasione messa a segno da un commando di almeno quattro persone armate di kalashnikov. In casa con lei c’è anche il marito Mario, 59 anni. “Non doveva succedere”, dice l’uomo rientrato ieri mattina dalla sua casa di Melicuccà in provincia di Reggio Calabria. Poi ricorda l’omicidio del giovane polacco ammazzato a Trecate nel 2006. Un delitto per il quale Mimmo Cutrì è stato condannato al carcere a vita con l’accusa di essere il mandante. “Una pena devastante – dice – , Mimmo era incensurato, il giudice poteva dargli anche 30 anni, ma l’ergastolo no”. In quel procedimento la madre è indagata per falsa testimonianza.

E del resto quella condanna, confermata dalla corte d’Appello, ha scatenato l’ossessione di Nino. “E’ stata una sua idea”, spiega il padre. Due fratelli legatissimi: Mimmo con la passione per il calcio. “Era bravo – ricorda la mamma – ha giocato anche in una squadra del Milan”. Poi la gamba rotta e la scuola alberghiera lasciata a metà. “Aveva aperto una sala giochi a Bareggio – dice Antonietta – , Nino, invece, non lavorava”. Impiego saltuario e nel frattempo il ragazzo accumula precedenti per armi e droga.

Poi l’ossessione per quel quel fratello in galera. I due ne parlano nel carcere di Saluzzo durante un colloquio. Spiega Antonietta: “Mimmo aveva detto al fratello che se fosse stato condannato a trent’anni, allora tre anni da lui li pretendeva per evadere”. Perché tanto è la pena prevista per chi favorisce un’evasione. “Ma se ci fosse stato un ergastolo, allora non bisognava farne nulla”. Dopo l’intercettazione, Mimmo viene trasferito nel carcere di Cuneo. Nino, però, non segue il consiglio del fratello. “Domenico non sapeva nulla – riprende il padre – , altrimenti lo avrebbe fermato”. Eppure le cose sono andate in maniera diversa. E con una dinamica poco chiara. A partire da chi ha sparato. Solo le guardie o anche i banditi? Poi, ragiona un investigatore, c’è un blitz messo a segno con uno spintone e dello spray urticante. Troppo poco. In mezzo, la Nissan imbottita di fucili a pomba e ritrovata a due passi dal tribunale. Quelle armi sono state usate oppure servivano per la latitanza? Di certo c’è che le due macchine (la seconda è la C3 ritrovata all’ospedale di Magenta) sono state rubate il giorno del blitz. Il resto è una pista che porta i carabinieri di Varese a puntare sul territorio di Inveruno dove Cutrì, definito “pericolosissimo” dagli investigatori, potrebbe aver fissato il covo.

Da Il Fatto Quotidiano del 5 febbraio 2014

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