Parla per la prima volta – in un’intervista esclusiva a Servizio Pubblico – Vincenzo Scarantino, l’uomo che si era accusato, salvo poi ritrattare tutto, di aver procurato la Fiat 126 che, imbottita di tritolo, causò la morte di Paolo Borsellino e degli uomini della sua scorta nella strage di via D’Amelio.
Scarantino è un picciotto di borgata quando nel 1992 viene arrestato per la strage di via D’Amelio. Dopo un anno di carcere duro a Pianosa, decide di collaborare spiegando per filo e per segno come e perché sia stato organizzato l’omicidio Borsellino. La sua testimonianza ha sancito ergastoli e scritto una delle pagine più buie della storia del nostro Paese, quando, a sorpresa, decide di ritrattare tutto puntando il dito contro poliziotti e magistrati che, a suo dire, lo avrebbero costretto a testimoniare ciò che non aveva mai fatto, visto o sentito.
Scarantino – nell’intervista esclusiva di Dina Lauricella – racconta in video per la prima volta di come un gruppo di poliziotti lo facesse studiare, lo preparasse agli interrogatori. “Le sere prima mi leggevano tutto e io dovevo memorizzare tutto quello che sentivo”.
“Quindi i suoi continui ripensamenti, e le varie ritrattazioni avvengono sempre sotto minaccia?”, chiede la giornalista. Scarantino risponde: “Sì”.
Scarantino è attualmente imputato a Caltanissetta, sempre per calunnia. Oggi la procura indaga sull’ipotesi che Scarantino sia stato la pedina di un ennesimo e clamoroso depistaggio.
“La mafia arriva, spara in faccia, spara in testa. Subito uno si accascia, e muore. Lo Stato, invece, ti fa morire giorno dopo giorno”

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