Renzi ha sbagliato sulla webtax, così hanno vinto le lobby americane”. Sono queste le parole con le quali Francesco Boccia, Presidente della Commissione Bilancio della Camera dei Deputati ha commentato, in un’intervista su La Repubblica di ieri, la decisione del Governo di sospendere l’entrata in vigore della “sua” webtax in modo da consentire alla Commissione europea di valutarne la compatibilità con il diritto dell’Unione.

“Una scelta negativa ma che comprendo – ha aggiunto l’On. Boccia – presa anche sulla base della richiesta di Renzi e in vista del negoziato europeo. Avrà pensato [il riferimento è al Premier Letta, ndr] di incassare comunque un risultato: inserire il tema nell’agenda del semestre di Presidenza italiana [dell’Unione Europea, ndr]”.

E, poi conclude: “Io mi sarei seduto a Bruxelles con la pistola carica sul tavolo”.

L’epilogo della vicenda della vicenda della webtax al centro, nelle ultime settimane, di un vivace dibattito sta tutta in queste parole.

Si tratta del più amaro degli epiloghi possibili per una vicenda dalla quale usciamo tutti sconfitti perché esce sconfitta la democrazia e le Istituzioni che dovrebbero garantirne il buon funzionamento nel solo interesse della Res publica ovvero dell’interesse si tutti.

Renzi sbaglia, hanno vinto le lobby americane, sarei andato a Bruxelles con la pistola carica sul tavolo.

Un vocabolario squallido e volgare per rappresentare una grottesca e drammatica vicenda che non ha nulla a che vedere con l’amministrazione della cosa pubblica.

Quello che è accaduto, infatti, non ha niente a che vedere – o, almeno, non avrebbe dovuto avere niente a che vedere – con l’elezione del nuovo segretario del Partito Democratico, con calcoli e strategie politiche e, soprattutto con “pistole cariche” da posare sui tavoli delle Istituzioni comunitarie.

Quello che è accaduto è semplicemente che il nostro Parlamento si è lasciato tirare per la giacchetta da uno dei suoi più influenti – nella pacchiana commedia di Palazzo – esponenti ed ha varato una legge contraria al diritto dell’Unione europea, costringendo il Governo a metterci una toppa per evitare che al danno di una legge approvata contra legem si aggiungesse la beffa di una sanzione europea.

Tutto qui. Niente di più. E sembra davvero abbastanza.

E’ per questo che è straordinariamente allarmante e preoccupante constatare che il regista dell’intera epopea della webtax all’amatriciana nel commentare il più ovvio degli epiloghi se la prenda con la politica – quella con la “p” minuscola – e riduca tutto ad una questione di strategia e di pistole anziché ammettere che si è trattato di un errore e che alla fine ha prevalso il buon senso ed il rispetto tardivo delle regole.

Poco importa che il “pentimento operoso” del Governo sia stato indotto dal pur tempestivo intervento del nuovo Segretario del partito democratico, l’unica cosa che conta davvero è che quanto accaduto è giusto e quanto stava per accadere era sbagliato non secondo l’opinione di questo o quel politico ma secondo la legge.

E’ davvero triste dover prendere atto dell’incapacità di certi nostri politici ad accettare il più elementare dei principi democratici ovvero quello secondo il quale il rispetto delle regole viene prima della politica di partito, delle opinioni dei singoli e dei negoziati con le pistole cariche sul tavolo.

Chissenefrega se le lobby americane festeggiaranno la sospensione dell’efficacia della webtax o se qualche italico editore se ne rammaricherà e chissenefrega se ha vinto Renzi, ha perso Boccia o ha sbagliato Letta.

E’ così difficile rallegrarsi, semplicemente, del fatto che ha prevalso la legalità

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