La parola dell’anno in Cina è tuhao. Segno delle disuguaglianze che stanno spaccando il paese governato dal Partito comunista più grande del mondo. Il 5 % della popolazione detiene il 23 % della ricchezza totale. E vuole dimostrarlo, a tutti i costi. Ecco allora i tuhao, una parola dimenticata da un secolo. All’inizio del Novecento erano i latifondisti, i nemici del proletariato cinese. Il tuhao moderno ha la sensibilità artistica dell’arriviste, il saper stare in società del parvenu e la capacità di spendere dei nouveaux riches. Noi li chiameremmo cafoni.

L’uso del termine è esploso a settembre, quando la Apple ha lanciato sul mercato una versione in oro a 18 carati dell’ultimo modello di iPhone. Uno scherzetto da più di 4 mila euro, una scommessa che è andata oltre le aspettative. In Cina, tutto esaurito. Lo chiamano tuhaojin, l’oro del tuhao. Ma la rete non perdona. Comincia a circolare la storiella di un giovane che si lamenta con il maestro zen di essere ricco ma infelice. “Cosa significa per te esser ricco?”, domanda il maestro. “Bhè – risponde il giovane – ho diversi milioni in banca, tre appartamenti in centro a Pechino…”. Il monaco gli porge la mano e il ragazzo, illuminato, gli chiede: “Maestro, mi sta dicendo che devo imparare a essere riconoscente e restituire il mio?”. “No, tuhao” risponde il monaco. “Posso essere tuo amico?”

È stato così che un termine desueto è diventato immediatamente virale. Dalla rete è rimbalzato ai titoli dei giornali, dalle vignette satiriche si è fatto spazio nei programmi d’intrattenimento televisivi. Ha addirittura catturato l’attenzione della casa editrice dell’università di Oxford che sta seriamente prendendo in considerazione l’ipotesi di inserirlo nell’edizione 2014 del dizionario. Essere tuhao significa essere giovani e pieni di soldi ma non avere la cultura né il genio per investirli.

I tuhao sono coloro che tutti odiano ma di cui tutti vorrebbero essere amici. Il tuhao fa rivestire d’oro la propria bmw per girare nel traffico congestionato delle metropoli cinesi. Oppure ha un pastore tibetano da un milione di euro in appartamento e si ubriaca con una bottiglia da 5 mila euro. Il tuhao è quello che va a Parigi solo per raccontare agli amici di aver fatto shopping agli Champs Elysées. Ma i tuhao sono infelici. Inconsciamente sanno che quella ricchezza ottenuta improvvisamente e senza sforzo, può scomparire da un momento all’altro. Nella realtà respirano la stessa aria inquinata dei “perdenti” e, come loro, vivono il senso di precarietà dei tempi moderni.

Il Fatto Quotidiano, 18 dicembre 2013

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