La memoria storica, per chi comanda, è un oggetto molto pericoloso. Per questo la riscrivono, e per questo noi la difendiamo

A differenza di Palermo, le istituzioni a Catania non hanno nel loro imprinting un vero e proprio impegno antimafia, almeno negli anni Ottanta. Alla morte di Giuseppe Fava, quasi esattamente trent’anni fa, la situazione infatti era la seguente:

– la magistratura non faceva antimafia;
– il prefetto inaugurava i negozi dei mafiosi;
– il colonnello dei carabinieri era ospite di imprenditori collusi;
– la polizia non arrestava i mafiosi;
– né la magistratura li condannava.

Polizia e magistratura erano invece durissime nei confronti della piccola malavita: gli scassapagghiari fermati erano spesso piccchiati a sangue (ma a volte le botte toccavano anche a ragazzini del tutto estranei); pene sempre severissime, “esemplari”; in istrano contrasto cogli artifizi giuridici usati per assolvere imputati più titolati (per l’imprenditore inequivocabilmente in rapporto coi mafiosi s’invocava lo “stato di necessità”).

Non migliore la situazione delle istituzioni “civili”, l’Università per esempio. Qui il cattedratico più noto, Giarrizzo, assicurava nelle sue storie che non c’è mafia a Catania. Mentre luminari minori, come Tino Vittorio, stampavano libri (La mafia di carta, Guaraldi,) in cui un improbabile mafioso proclamavano che l’assassinio di Fava “non c’entra la mafia. Donne, gioco per quel che ne posso intuire”. Pubblicati, peraltro, “con il contributo del Dipartimento Studi Politici dell’Università”

Della stampa (La Sicilia di Ciancio, ora inquisito) è inutile parlare: principale pilastro di tutto questo.

Certo, non è una bella immagine della buona società catanese quella che vien fuori dalla storia di quegli anni. Allora non aveva importanza; ma oggi che la “legalità” ha preso piede si cerca disperatamente di riscriverla, cancellando ciò che accadde davvero e mescolando in un mucchio indistinto chi sostenne il sistema, chi lo subì, chi se ne dissociò occasionalmente e chi sostenne una lotta lunga, difficile e coerente, per opporsi ad esso.

L’antimafia, in certi momenti, fu pure di massa (pur se senza potere), coi bravi e coraggiosi studenti catanesi. Più spesso fu affidata a gruppi e a singoli: i Siciliani, Siciliani giovani, l’Associazione i Siciliani, Città insieme, Democrazia Proletaria e altri minori; e il giudice “Titta” Scidà e l’ingegner D’Urso e don Resca; e i Centineo e i Di Stefano,  Teri, Cazzola. Nomi completamente espunti dalle memorie cittadine. Persino – ciò che più ferisce – da quella di gruppi inizialmente del tutto estranei all’establishment, come Addiopizzo. Ma così va il mondo.

* * *

La storia, in una città come Catania (ma l’Italia è Catania, a questo punto) non riguarda affatto il passato. Riguarda i poteri e le prepotenze attuali, le vigliaccherie e le rimozione di oggi, il “chi comanda” e il “chi subisce” di ora. Riguarda, fra le altre cose, gli attuali poteri mafiosi.

Questo è il motivo per cui la lotta antimafia – non rituale, e non limitata alle investigazioni – è così importante per la società. Ed è per questo che la chiamiamo “antimafia sociale”.

E mentre quasi tutta la politica “ufficiale”, quella dei dibattiti in tv, incide ormai pochissimo nella vita comune (governata ahimè da ben altri poteri), quella dell’antimafia cambia davvero le cose, quand’è vincente: perché colpisce chi comanda davvero in una società come la nostra, in cui il rapporto ma­fia poteri è ormai così  diffuso e compatto.

La mafia, in altre parole, è il fascismo dei nostri giorni. E l’antimafia è l’antifascismo che noi viviamo adesso.

Per noi dei Siciliani questa lotta va avanti ormai da oltre trent’anni. Certo, non è l’unica lotta; né siamo solo noi a farla, ci mancherebbe. Noi però siamo forse quelli che le danno maggiore importanza, anche politica, e che cercano più di legarla – nel nostro piccolo – con tutte le altre lotte sociali.

Per questo insistiamo tanto sul “fare rete”. Nessuno vince mai da solo, neanche i migliori: al massimo può far finta di vincere, o usare una parziale vittoria per inserirsi alla meno peggio nell’attuale sistema. Qua invece bisogna vincere davvero e completamente, eliminando del tutto la mafia (con tutto ciò che lesta attorno) da ogni e qualsiasi assetto di potere.

Vedete che la faccenda è difficile… Ma forse non è impossibile del tutto. Basta solo provarci veramente tutti insieme.

 

Articolo Precedente

Scissione Pdl, cambiare tutto perché nulla cambi

next
Articolo Successivo

Pd, Renzi al 46,7% batte Cuperlo nei congressi: “Non ce lo aspettavamo”

next