Dopo tanto parlare (a sproposito) di Telecom, ora tutto tace. Eppure nulla è cambiato mentre Telefonica procede come da programma a consolidare il controllo dell’ex monopolista telefonico. Il governo aveva annunciato iniziative e ha invece partorito una norma generica sul golden power. I politici hanno sbraitato e poi sono passati ad altro. Intanto strani movimenti interessano il titolo Telecom che guadagna qualcosa in Borsa. Cosa dovrebbe fare dunque uno Stato che si rispetti? Intanto, sgombrare il campo da alcune sciocchezze.

Chi decide sulla rete
Qualcuno ha parlato di “nazionalizzazione” della rete di Telecom Italia, possibilità prevista e disciplinata quando Telecom, prima della liberalizzazione del mercato delle telecomunicazioni dal 1998, gestiva le reti e offriva servizi in monopolio. La concessione prevedeva, in cambio dei diritti di esclusiva, poteri di controllo esercitabili dallo Stato. Tra questi figurava il potere di subentrare (attraverso riscatto) nella titolarità e gestione degli impianti e dei servizi di Telecom al ricorrere di determinate condizioni e fermo restando l’obbligo di riconoscere un adeguato indennizzo. Con la liberalizzazione è venuto meno il diritto di esclusiva e, conseguentemente, tutte le disposizioni riguardanti i poteri relativi al riscatto degli impianti.

Analoghe considerazioni valgono riguardo alla prospettata ipotesi di imporre lo scorporo della rete di Telecom Italia mediante ricorso a un intervento legislativo. Anche questa soluzione si sarebbe potuta adottare in costanza di rapporto concessorio. Venuto meno quest’ultimo, non ci sono ragioni giuridiche in base alle quali si possa giustificare un intervento del genere. Cosa diversa è uno scorporo volontario da parte di Telecom o, ancora, la separazione funzionale (quindi non proprietaria) della rete. In quest’ultimo caso esistono disposizioni del legislatore comunitario che ha inserito tale ipotesi tra gli obblighi regolamentari che possono essere imposti agli operatori dominanti per favorire una maggiore concorrenza nelle telecomunicazioni. Quanto al golden power (la vecchia golden share) e al conseguente esercizio di poteri speciali su aziende che gestiscono attività ritenute di rilevanza strategica, il governo ha definito il campo relativo al settore delle comunicazioni. In particolare, le reti e gli impianti utilizzati per la fornitura dell’accesso agli utenti finali rientranti negli obblighi del servizio universale e dei servizi a banda larga e ultralarga. A prescindere dalle modalità di applicazione della norma, a oggi non indicate, il perimetro di intervento previsto potrebbe però prestarsi a qualche obiezione. Sul tema della golden share è in corso una procedura di infrazione da parte dell’Unione Europea per contrasto con le norme del Trattato sulla libera concorrenza. Per questo motivo il governo Monti adottò il decreto legge 21 del 2012 che ha attenuato la portata dei poteri speciali dello Stato per le attività di rilevanza strategica nei settori della difesa e sicurezza nazionale, energia, trasporti e comunicazioni. Tuttavia, l’inserimento degli obblighi di servizio universale potrebbe non essere corretto in quanto tali obblighi sono già disciplinati da una specifica Direttiva europea (la n. 136 del 2009). La Commissione europea potrebbe perciò ritenere che anche la nuova articolazione dei poteri speciali risulti “eccessiva”, essendo la materia “salvaguardata” dalla stessa direttiva.

Minaccia spagnola?
L’attivazione dei poteri speciali nel caso al Telco-Telefonica incontra poi la difficoltà per il governo di dimostrare che l’operazione societaria è suscettibile di determinare un grave pregiudizio agli interessi essenziali della difesa e della sicurezza nazionale o che sussistono circostanze eccezionali che mettono in pericolo primari interessi nazionali pubblici (ma nulla è stato detto quando la Telecom comprava, all’epoca del governo Berlusconi, tecnologia e apparati cinesi per il funzionamento della propria rete).

Dopo il tramonto dell’ipotesi di intervento di Cassa depositi e prestiti, il governo potrebbe agire su due fronti. Il primo, quello relativo all’immediata riforma delle regole sull’Opa (c’è una mozione bipartisan approvata dal Senato). Attualmente il meccanismo dell’offerta pubblica di azioni vale obbligatoriamente solo se si supera la soglia del 30 per cento, mentre non è prevista nell’ipotesi di acquisizione del controllo di fatto (Telefonica attraverso la scatola Telco acquisisce il controllo di Telecom sborsando 850 milioni per una società che vale 12 miliardi). Si tratterebbe di una riforma facile da approntare, basterebbe copiare norme che esistono in altri Stati europei, compresa la Spagna, e che darebbe maggiori garanzie ai possibili investitori. L’altro fronte riguarda il contesto. Una decisa azione pubblica di sviluppo dei servizi in rete, dell’e-commerce e di alfabetizzazione digitale darebbe slancio alla domanda, favorendo l’interesse a investire. Ma questo implica una forte consapevolezza della sempre maggiore importanza del settore nell’economia e nella società. Una visione moderna che manca del tutto in chi deve decidere, pubblico o privato che sia.

Da Il Fatto Quotidiano del 23 settembre 2013 

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