Cassiopea è una delle costellazioni più riconoscibili del cielo settentrionale, che a seconda delle stagioni è distinguibile per la sua forma a W o a M. Per la notte intera, è visibile nel cielo in tutta la fascia temperata dell’emisfero boreale. La Cooperativa Comin (non a caso) ha dato lo stesso nome al servizio che, a Milano, si occupa degli stranieri – in possesso dei requisiti per richiedere l’ingresso dei propri familiari residenti all’estero – che vogliono ristabilire l’unità della propria famiglia. In questi anni, abbiamo visto soprattutto figli minorenni raggiungere i propri genitori (già) a Milano e ci siamo occupati delle famiglie neo ri-congiunte.

Se ho scelto di dedicare questo post alla vicenda di Cassiopea è per raccontarvi cosa è accaduto dopo i tagli alle risorse del welfare. Lo spunto me lo ha offerto l’intervista a Francesca, una delle operatrici che ha iniziato a lavorare quando Cassiopea era anche un po’ “nido” e che adesso è impegnata nella riprogettazione del (proprio) servizio.

Claudio (C): Che vuol dire che all’inizio Cassiopea era anche un po’ “nido”?

Francesca (F): I ragazzi e le ragazze che vivono uno strappo sia dai “vecchi” legami, sia dal “vecchio” luogo, si trovano spaesati nella “nuova” realtà. Se non parli e non capisci l’italiano, se raggiungi la tua famiglia che è arrivata qui qualche anno prima di te, se hai lasciato i tuoi amici e le tue amiche, i nonni e i vicini di casa che durante l’attesa (nel tuo paese d’origine) sono diventati la tua nuova famiglia, sarai certamente disorientato. Un “nido” ti permette di stare nel limbo per il tempo necessario a capire chi sei prima che a capire dove vuoi andare. Anche a sedici anni puoi vivere un momento di regressione e aver bisogno di sentirti accudito.

C: Quale sarà l’evoluzione di Cassiopea e come questo servizio continuerà a orientare chi al suo arrivo in Italia si sente spaesato?

F: Cassiopea non è mai stato un servizio di tipo assistenziale, la “forma” verso cui si sta evolvendo somiglia a quella di un servizio di promozione sociale. La parte più prestazionale del servizio (il ruolo dell’operatore per intenderci) si contrarrà a vantaggio di chi negli anni passati ha trovato un “nido” in Cassiopea prima di prendere il volo. Quelle persone saranno i nuovi facilitatori. I più giovani saranno un riferimento per i minorenni stranieri che arriveranno a Milano, gli adulti faranno lo stesso con i genitori neo-arrivati.

C: Possiamo dire allora che Cassiopea dovrà incoraggiare la fraternità tra sconosciuti e che questa è in fondo una bella sfida culturale?

F: Sì e no. La nuova sfida culturale mi affascina perché chiede il contribuito di tutti per la creazione di un nuovo modello di benessere. E sapere che siamo chiamati a incoraggiare nuove pratiche sociali dentro l’orizzonte collettivo, ovvero a condividere pratiche di solidarietà contrapposte all’ideale individualistico, non può non farmi piacere. C’è un lato che mi preoccupa e che vorrei evidenziare. Il nuovo servizio che nascerà dalle ceneri del vecchio non sarà più in grado di fare fronte ai bisogni di quei ragazzi e di quelle ragazze che per essere accompagnati a prendere il via hanno bisogno di più tempo per riscoprire le proprie risorse o acquisirle tout court. Per questi ultimi, nel nuovo modello, non ci sarà posto. E la fraternità tra sconosciuti non può bastare.

C: Nel considerare i rischi che il passaggio dal vecchio al nuovo modello di welfare porta con sé sei giustamente critica. Rispetto alla sfida che abbiamo davanti sei ottimista?

F: L’ottimismo che mi muove è quello della volontà, quello che ha chiunque sceglie consapevolmente di lavorare per il benessere collettivo. Trae origine da quanto ho visto in questi anni. La relazione con l’utente (che preferisco chiamare persona fragile) è ampia e pervasiva, tante volte somiglia a qualcosa di, in un certo senso, conviviale più che rispondere a un’ottica di servizio. Una cena a casa di amici più che una festa organizzata in un centro diurno. Cassiopea sono certa potrà contare sulle persone che abbiamo intercettato al loro arrivo e che si stanno già dimostrando accoglienti verso i nuovi giunti. Potrà contare allo stesso modo su quegli insegnanti e quegli impiegati dell’Ufficio Stranieri che, come tanti di noi, hanno scelto o sceglieranno di favorire la responsabilità relazionale.

Ringrazio Francesca per averci accompagnato in questa riflessione, che mi piace rimettere ai lettori di questo blog, convinto che sia anche uno spazio di discussione, una palestra per esercitarsi a re-immaginare la nostra comunità sociale.

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