La manfrina politica accesa dai berlusconiani in difesa del proprio capo, minacciato di essere cacciato dal Parlamento (come prevede la legge), ha messo a repentaglio persino la tenuta del governo. Il che però, a questo punto, non può sorprendere nessuno, perché era chiaro fin dal principio che l’unico interesse di Berlusconi (al di là delle chiacchiere ad uso dei suoi tifosi) avrebbe sostenuto il governo Letta solo allo scopo di avere un filo diretto con la “stanza dei bottoni”.

Il caso “Berlusconi”, sotto ogni profilo, giuridico, istituzionale, politico, non può in alcun modo essere visto come priorità nazionale per salvarlo da una sentenza definitiva emessa da un Tribunale della Repubblica, ma sicuramente, proprio sul piano politico (è stato votato da milioni di cittadini! dicono i suoi pretoriani), non ci può essere clemenza. Vediamo come si è concluso un caso analogo negli Usa.

Qui in Texas, Tom DeLay, che nel 2005 era ancora  speaker del Congresso (cioè l’equivalente del nostro presidente della Camera dei Deputati), è stato condannato a tre anni di carcere “solo” per aver girato illecitamente una donazione di poche decine di migliaia di dollari ad un compagno di partito, che però non era del Texas. Il reato consisteva nel fatto che, per legge, quella donazione aveva invece come destinazione la politica texana. Praticamente era una “sciocchezza” al confronto dei reati in cui è, o è stato, imputato Berlusconi. Ma comunque quel reato è stato, come spiegato nella successiva motivazione della sentenza, ritenuto assimilabile al riciclaggio di denaro sporco (molto comune nei reati di mafia anche in Italia). Un reato quindi sempre classificato come molto grave, e per il quale in Texas è prevista persino la pena di morte.

Il fatto che la condanna sia stata emessa da una Giuria Popolare del Texas, dove i Repubblicani, cioè il partito di DeLay, hanno una maggioranza nel voto popolare di circa il 70% (ovvero sul piano della popolarità molto di più di quella mai ottenuta dal partito di Berlusconi) rende il giudizio esemplare sul piano della politica ancor più che su quello giuridico.

Comunque il giudice Rosemary Lehmberg, della Contea distrettuale di Travis (Texas), cui competeva la decisione di convertire in pena il giudizio popolare, poteva  sentenziare fino alla pena di morte, ma esaminando le attenuanti ha comminato per DeLay la pena di tre anni di carcere, mostrandosi persino magnanima con lui, perché nel pronunciare la sentenza ha usato parole durissime ma perfettamente condivisibili: “Questa condanna vuole essere un chiaro messaggio del popolo del Texas, il quale vuole, e si aspetta dai suoi pubblici ufficiali, onestà ed etica. Tutti devono rispettare la legge”. 

DeLay ha fatto appello e, nell’attesa, ha chiesto e ottenuto la libertà provvisoria, pagando una forte cauzione. Ma la sentenza di primo grado è immediatamente esecutiva (altro che la “presunzione di innocenza” fino al terzo grado di giudizio, come in Italia), quindi con tutte le limitazioni della libertà che comunque gravano anche su chi è in libertà provvisoria, e naturalmente includendo anche l’inibizione da ogni carica pubblica.

Nessuno, né in Texas né altrove, si è mai sognato di chiedere per DeLay un trattamento speciale in quanto politico di massimo livello. Anzi, proprio come politico di massimo livello si è beccato nella motivazione della giudice Lehmberg una “strigliata” esemplare.

Ed è giusto che sia così. I politici guadagnano col voto, e con gli incarichi che di volta in volta assumono, una posizione e una responsabilità che li pone al vertice delle istituzioni. Ciò non può in nessun caso essere visto come un privilegio. Quando un politico viene condannato per un reato il giudizio non riguarda solo il piano giuridico, come per il comune cittadino, ma anche, e molto più gravemente, quello politico, perché la sentenza dice che lui ha infranto una di quelle leggi che il popolo gli ha dato il potere di fare e di disfare. Quindi infrangendo la legge lui (o lei) ha commesso di fatto anche un tradimento politico alle istituzioni e al mandato che il suo stesso popolo gli ha dato, perciò la pena dovrebbe essere persino più grave di quella che normalmente viene inflitta al comune cittadino. E questo, ovviamente, deve valere per tutti i politici.  

Il fatto che Berlusconi, anche come politico, abbia voluto salire al di sopra di tutti, non solo non lo può porre al riparo dei giudici ma, in sistema sinceramente democratico, lo espone necessariamente ancor più che il comune cittadino al rigore della legge.

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