“Mi sarebbe piaciuto, se non altro per provare l’emozione della prima volta”. La prima volta di un posto fisso a 62 anni, quasi 63, però Lia Baffetti non l’ha potuta vivere nemmeno questa volta. Lia vive a Castell’Azzara, 800 metri d’altitudine in provincia di Grosseto e doveva essere uno degli 11.268 nuovi docenti immessi in ruolo in questi giorni. Per motivi personali ha dovuto rifiutare. L’Anief (Associazione nazionale insegnanti ed educatori in formazione, ndr) ha calcolato che quasi il 60 percento dei vincitori del concorso ha oltre 50 anni di età.

“Le regole che l’amministrazione scolastica italiana si è data produrranno nel tempo un’ulteriore innalzamento dell’età media dei nostri docenti”, ha spiegato Marcello Pacifico, presidente dell’associazione di insegnanti e formatori. Questo per via della riforma Fornero, a cui si aggiunge la decisione di lasciare fuori dalle graduatorie ad esaurimento i circa 20mila neo-abilitati attraverso tirocini ordinari. Quella di Lia Baffetti è una storia limite, ma non è un caso unico nella scuola italiana di oggi. La professoressa di educazione artistica la racconta volentieri, con una buona dose di autoironia.

Parte da una settimana prima, quando squilla il telefono di casa sua. Era il provveditorato che la convocava per assegnarle una cattedra a tempo indeterminato. Un’opportunità arrivata dopo oltre trent’anni da precaria nella scuola. “Ho dovuto dire di no”, dice Lia. “L’unico istituto che mi proponevano era troppo lontano. Ho rifiutato perché la situazione familiare non me lo permette. Sia chiaro: la mia non è pigrizia, è mancanza di alternativa”. Così anche quest’anno dovrà aspettare il suo turno e attendere la chiamata di qualche scuola vicino a casa. “Come al solito saprò se avrò una cattedra solo a anno scolastico iniziato”, spiega. “Nelle prime settimane di lezioni vengono stabiliti gli organigrammi, si vedono se sono necessarie supplenze o sostituzioni per maternità. Oppure – precisa – bisogna sperare che qualcuno rinunci”.

Trentasei anni fa Lia conseguiva l’abilitazione, nel 1980 la prima cattedra. Prima le affidavano solo poche ore alla settimana, poi ha iniziato a lavorare in modo più stabile. Sempre con le chiamate dirette dei presidi. Negli ultimi trent’anni ha girato tutte le scuole medie alle pendici del Monte Amiata, dove lei vive da quando è nata. Castell’Azzara, Piancastagnaio, Sorano, Semproniano, Santafiora: l’elenco dei paesini è lunghissimo. Anni e anni a spiegare ai ragazzi come si usano pennelli e righello, fino all’esperienza da insegnante di sostegno. “Ho iniziato nel duemila ed è stato molto bello, ti apre nuovi punti di vista. Dovrebbero rendere obbligatorio un periodo di sostegno per ogni docente”.

“La mia – prosegue – è stata una carriera professionale dissestata. Ogni estate, inevitabile, scattava l’ansia. Senza la continuità di un posto fisso, inoltre, è come ricominciare tutto da capo ogni volta”. Nonostante le difficoltà non ha mai pensato di cambiare lavoro perché, aggiunge, “sono partita molti anni fa con grande convinzione: mi piaceva e mi piace tuttora stare con i ragazzi. E poi qua in montagna mica è facile trovare un’altra occupazione”. Negli scorsi mesi Lia pensava di essere arrivata al traguardo. “Dopo aver raggiunto i 60 anni ero pronta alla pensione”, racconta. “Sarebbe stata una pensione minima visti tutti quegli anni di precariato, ma non importava. Avrei colto l’occasione al volo”. Poi è arrivata la riforma Fornero. “Non potrò smettere prima dei 65 anni”, conclude, “e magari nel frattempo alzeranno ancora l’età della pensione. Chissà quando sarà il mio turno”. Troppo giovane per l’Inps, Lia affronterà un altro settembre precario. Di quelli in cui si trascorre molto tempo a casa nella speranza di una telefonata. Nulla di nuovo rispetto agli ultimi 33 anni.

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