Chiunque voglia partecipare ad un bando delle pubbliche amministrazioni in Italia, per acquisire beni e servizi, deve essere iscritto al MEPA, Mercato Elettronico della Pubblica Amministrazione. L’impiego di questo potenzialmente utile strumento di razionalizzazione delle spese e risorse pone alcune questioni che toccano direttamente e pesantemente designer e progettisti. Senza entrare in questa sede nella disamina più generale del problematico funzionamento dei pubblici concorsi, ad esempio, condizionati dall’incessante e controproducente ‘corsa al ribasso’.

Al MEPA possono essere iscritti solo coloro che fanno riferimento a ordini professionali: il design – ma il problema vale per altre professioni non ordinistiche – ha associazioni di categoria, ad esempio ADI, AIAP o AIPI rispettivamente per design, grafica e interni cui fanno riferimento diverse migliaia di persone, ma non è costituito come ordine. Una recente legge del gennaio 2013 norma le professioni non organizzate in ordini, ma il MEPA non le prevede.

Al MEPA possono accedere imprese con fatturato di almeno 25.000 euro; forse non molto ma in grado di escludere ad esempio giovani professionisti o piccole imprese.
I criteri per essere presenti nel MEPA fanno riferimento alla fornitura di beni e servizi e non alla prestazione d’opera dell’ingegno, che è il lavoro dei progettisti.
Il criterio di valutazione poi delle “forniture” e prestazioni è unicamente quello del prezzo, che è oggettivamente limitante rispetto alla qualità dei risultati, oltre che talvolta antieconomico.

Facciamo semplici e banali esempi. Acquisto la sedia o faccio realizzare il sito web che costano meno; ma se dopo un anno la sedia per cattiva progettazione e costruzione si rompe devo ricomprarne un’altra e quindi pago due volte, oppure il mio sito, se non ha una buona interfaccia che lo renda facilmente utilizzabile, necessiterà di continui interventi e migliore, per cui alla fine spenderò molto di più. ‘Chi più spende meno spende‘ recita il detto comune.

I designer si occupano di progettazione in chiave responsabile ed accorta dal punto di vista delle economie complessive, della relazione costi-benefici, dell’appropriata possibilità di impiego e utilizzo delle cose. Il progetto è dunque naturalmente un costo, che va riconosciuto, ma è allo stesso tempo garanzia di un processo ed esito adeguato.

Escludendo in sostanza la possibilità per i designer di partecipare a bandi pubblici e di veder riconosciuto ruolo e contributo, le pubbliche amministrazioni riducono la possibilità che il progetto assolva alla propria connaturata funzione di servizio ‘dalla parte dell’utilizzatore’, sia committente pubblico o utente finale.

Su queste questioni, che in tutta evidenza non sono di categoria ma sollevano problemi decisivi per la società contemporanea – come la trasformazione dei modi di lavorare, la necessità di prodotti, sistemi e servizi ‘sostenibili’, della qualità complessiva del mondo che abitiamo ­– le associazioni di categoria, le università di design, i professionisti hanno avviato una campagna di sensibilizzazione, anche attraverso una lettera aperta e proposte di soluzione al Ministro dell’Economia e Finanze on. Saccomanni.

Da sostenere, per potere avviare un confronto e migliorie su questioni che riguardano tutti.

 

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