Un boato che parte da piazza Tahrir e pervade le strade di tutto il paese. Così gli egiziani hanno reagito all’annuncio del capo del Consiglio Militare Supremo Abdel Fatah al Sissi che ieri, poco dopo le 21, ha destituito il presidente islamista Mohammed Morsi, il primo capo di stato eletto con libere elezioni esattamente un anno fa. Nella storica piazza della rivoluzione i festeggiamenti sono continuati sino a tarda notte a ritmo di vuvuzelas colorate con il tricolore egiziano e fuochi d’artificio, venduti in quantità massicce in ogni angolo della piazza. Un comunicato, quello dei militari, atteso dalla popolazione mentre per tutto il pomeriggio si erano susseguite notizie confuse e contraddittorie sulle mosse dell’esercito e sul destino di Morsi.

Ora l’Egitto ricomincia da zero. La road map prevede la sospensione dell’attuale costituzione e un governo a interim guidato dal presidente della Corte Costituzionale, Adly Mansour, che traghetterà il paese alle prossime elezioni presidenziali, la cui data però non è stata ancora specificata.

“Sono contenta, è un giorno di festa per tutti noi, abbiamo dimostrato a Morsi che non poteva fare quello che voleva”, spiega Fatima mentre sta su un muretto al lato della piazza e sventola la sua bandiera. Gli egiziani, scesi per le strade con numeri mai visti da domenica scorsa, sentono di aver fatto qualcosa di grande e di essere riusciti per la seconda volta a scegliere il proprio destino. I titoli dei giornali non lasciano spazio a dubbi: “30 giugno, la seconda rivoluzione” è una delle headline più usate dai quotidiani. Ma le differenze con la rivolta del 2011 che portò alle dimissioni del presidente Hosni Mubarak sono tante. Mohammed Morsi, infatti, a differenza dell’ex rais è stato eletto dal popolo e la sua destituzione da parte dei militari – anche se fatta assecondando le massicce manifestazioni popolari convocate dall’opposizione e approvata dai due capi spirituali più importanti del paese – costituisce un precedente pericoloso.

I militari, dopo aver guidato la transizione dopo Mubarak, hanno riacquistato in meno di un anno credibilità agli occhi della maggioranza degli egiziani ottenendo legittimità e rifiorendo come l’unica alternativa possibile alla fratellanza. Alternativa cui la stessa opposizione si è affidata per ottenere il suo obiettivo. Queste preoccupazioni sembrano però non sfiorare la piazza dove qualche manifestante ha persino deciso di portare la foto del generale El Sisi per le strade della città. “Sono sicuro che l’esercito non sia interessato a riprendersi il potere – dice Khaled, un cittadino che festeggia a Tahrir – ora c’è il consenso di molte parti politiche, abbiamo annullato questi ultimi due anni di errori e ripartiamo”. Anche l’ultimo videomessaggio di Morsi dove continua a definirsi presidente e accusa i militari di aver progettato un golpe sembra non spaventare i manifestanti. “Non è più il nostro presidente – ribadisce Tarek che è stato in occupazione per 4 giorni – si deve rassegnare e accettare che la maggioranza del paese non è più con lui”.

Ma l’entusiasmo e l’ottimismo che si respira per le strade potrebbero durare poco. Nelle ore successive l”azione dei militari tre canali televisivi filo islamici sono stati chiusi, tra cui l’emittente live egiziana di al Jazeera, mentre 300 mandati di arresto sono stati emessi per altrettanti membri dei Fratelli Musulmani. “Questi sono dei veri e proprio atti di repressione – scrive nel suo account Twitter Heba Morayef, coordinatrice di Human Rights Watch per il Medio Oriente – il 30 giugno comincia nel peggior modo possibile”. Le incognite sono tante, tra le più importanti resta anche l’emarginazione dei Fratelli Musulmani che, anche se esautorati del loro potere, restano nella scena politica egiziana e potrebbero chiedere vendetta riaffiorando in frange radicali rischiose per la stabilità e la sicurezza del paese. L’Egitto rimette così indietro le lancette dell’orologio nel suo periodo di transizione. La democrazia, per il momento, sembra ancora lontana.

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