Cartellino rosso, Morsi vattene. Così milioni di persone (17 per l’opposizione che parla della più grande manifestazione dal 2011) sono scesi per tutte le strade dell’Egitto a chiedere le dimissioni del presidente Morsi. Dal Cairo circa dieci cortei sono partiti da altrettanti punti della città, la maggior parte si è diretta al palazzo presidenziale mentre quelle più vicine al centro hanno raggiunto piazza Tahrir che già dal mattino faceva segnare numeri notevoli. Un fiume di persone con bandiere e cartellini rossi che hanno inondato la Capitale e le altre cittadine egiziane, a volte anche in piccoli sit in improvvisati. Non c’è strada in tutta la capitale in cui non venga distribuito un adesivo o una bandierina.

“Era ora, siamo tornati nelle strade perché questa non è la repubblica dei Fratelli Musulmani – dice Ahmed, arrivato già dal mattino in piazza Tahrir – ha dimostrato che non è il candidato della rivoluzione quindi se ne deve andare”. L’entusiasmo è altissimo, i Tamarrod, i promotori della campagna che in pochi mesi era riuscita a raccogliere 22 milioni di firme per le dimissioni del governo Morsi, cantano vittoria ma tra i manifestanti all’euforia si accompagna anche la paura di una nuova ondata di violenze. La polizia si è ritirata dalle strade e nelle vie adiacenti al ministero dell’Interno al Cairo, da sempre zona calda, gli agenti sostano senza tenuta antisommossa. Questa volta però più che dalle forze dell’ordine il pericolo è rappresentato dai potenziali scontri tra gli attivisti anti-Morsi e i supporter dei Fratelli Musulmani che da diversi giorni sono in sit-in con cifre consistenti in una moschea di Nasr City. A Sohag diversi scontri tra le due fazioni hanno causato già 50 feriti mentre la sede principali dei Fratelli Musulmani al Cairo è stata attaccata.

Ora dopo una giornata con cifre incredibili, moltissimi si chiedono quale sarà la reazione dei Fratelli Musulmani. Per il momento il portavoce della presidenza egiziana ha invitato alla calma e minimizzato le manifestazioni affermando “che la differenza di vedute politiche è una caratteristica comune dei paesi democratici”. Inoltre, una delle incognite della giornata era la composizione della piazza, divisa tra i rivoluzionari della prima ora e i simpatizzanti dell’ex regime seguiti dall’hizb al kanepa (il partito del divano, ndr) la parte immobile del Paese da sempre indifferente alle proteste. Secondo molti analisti, la grandezza dei numeri della manifestazione odierna decreterebbe la fine di questo schieramento, uno spaccato di egiziani alto borghesi, spesso vicino ai militari, e spiccatamente islamofobici.

Nonostante ciò resta il dilemma sul ruolo dei militari e soprattutto le difficoltà dell’opposizione legate alla mancanza di un leader di largo consenso. Una buona parte delle persone in protesta, e ciò è dimostrato anche dagli slogan sentiti oggi, è favorevole a un intervento dei militari. Quello stesso esercito che nei 16 mesi dopo la caduta di Mubarak aveva governato in modo autoritario e reprimendo nel sangue le proteste. “C’è uno scenario ideale e uno reale – dice Ossayma, studentessa in marcia verso il palazzo – il primo è che i militari intervengano per stabilire l’ordine in caso di violenza e restino al potere per qualche mese, il secondo è che nel caso di una loro discesa in campo potrebbero restare al potere per anni”.

Insomma, le dimissioni di Morsi e il conseguente intervento dell’esercito potrebbero rappresentare l’ennesimo salto nel vuoto mentre la road map indicata dai Tamarrod, ossia un governo di transizione tecnocratico e nuove elezioni in sei mesi, per il momento sembra ancora difficile da realizzarsi.

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