La proposta di guidare una formazione politica, Guglielmo Epifani l’ha già avuta. Nel 2007, mentre nasceva il Pd a guida Veltroni – verso il quale l’ex segretario Cgil non nutriva grande trasporto – fu Fausto Bertinotti a prospettargli la leadership di una Federazione della sinistra. Non se ne fece nulla. Ora, a 63 anni, dopo 36 anni nel sindacato, è vicinissimo alla segreteria del Pd. Forse la tesi di laurea su un’icona socialista come Anna Kuliscioff lo fa apparire di sinistra, mentre il tono vellutato, e la carriera sindacale, rassicurano i moderati. “A me piace” diceva qualche giorno fa Raffaele Bonanni, “almeno so come ragiona”. Prima di fare il segretario della Cgil è stato il vice di Sergio Cofferati. Ultimo esponente di quella “componente socialista” della Cgil che nel 1984, con il decreto Craxi sulla scala mobile, fu a un passo dalla rottura. Epifani restò defilato ma negli anni ’80 era quasi impossibile essere socialista e non stare con Craxi. Quando sostituisce Cofferati alla segreteria della Cgil, nel 2002, riceve l’eredità del Circo Massimo. Epifani la conserva fino al 2003 partecipando al movimento per la pace e poi, in dissenso con lo stesso Cofferati, schierando il sindacato accanto a Fausto Bertinotti nel referendum per estendere l’articolo 18. Poi la Cgil è risucchiata dall’Unione di Romano Prodi, accolto in trionfo al congresso del sindacato: “Il vostro programma è il mio programma” dirà il Professore. Con il governo del centrosinistra la Cgil dismette la posizione anti-governativa.

Nasce qui lo scontro con Sergio Cofferati che dura ancora oggi. A Epifani viene rimproverata la perdita di autonomia e una eccessiva subordinazione al governo. In questo periodo rinasce il conflitto con la Fiom guidata da Gianni Rinaldini che gli contesta “di aver chiuso rapidamente la fase precedente e di essere tornato alla normale routine burocratica”. Scontro che tocca il culmine con la vicenda Marchionne. Epifani lavora nel solco dell’unità sindacale realizzando l’accordo sulle pensioni con Prodi. Ma la nuova vittoria di Berlusconi spazza via quella strategia. La Cgil, a quel punto, è stretta tra l’ostilità della sinistra interna e il gelo degli altri sindacati. Una sorta di “né-né” che porta all’impasse. Nel 2010 Epifani lascia la Cgil.

L’ultimo discorso in piazza lo tiene alla manifestazione della Fiom a San Giovanni. Fischiato dai duri ma “protetto” da Landini e Cremaschi. Qualche giorno dopo saluta la Cgil e il direttivo nazionale, in cui fa eleggere la fidata Camusso, anche lei ex socialista, gli tributa un sentito omaggio. Per quasi due anni si “parcheggia” alla presidenza dell’Associazione Bruno Trentin, creata apposta per lui. Ma, come dice chi lo ha conosciuto da vicino, “il ragazzo è ambizioso”. Vorrebbe fare il ministro del Lavoro, ipotesi sfumata con la sconfitta di Bersani che ne inventa la candidatura alla segreteria del Pd. Epifani, dice in giro, si sente tagliato per quel ruolo. Ma i partiti non portano fortuna ai segretari sindacali. Chi lo ha preceduto alla guida della componente socialista in Cgil, Ottaviano Del Turco, quando è andato a dirigere un partito, il Psi orfano di Craxi, ne ha accompagnato lo sfarinamento. Luciano Lama, nel 1984, dopo la morte di Enrico Berlinguer, fu bloccato alla segreteria Pci dai “giovani turchi” di allora, tra cui D’Alema. Sergio Cofferati, il naturale leader della sinistra dopo il Circo Massimo, incontrò anche lui l’ostilità di Massimo D’Alema. Epifani è diverso, sa farsi canna che si piega al vento. Oggi dovrebbe ereditare un partito allo sbando, superando in volata Gianni Cuperlo. Anche lui, guarda caso, dalemiano.

da Il Fatto Quotidiano del 6 maggio 2013

aggiornato da Redazione Web il 10 maggio 2013

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