I media non sono stati molto “attenti” al nostro intervento di ieri presso il Senato della Repubblica dove il Capo dello Stato ha ricordato tutte le vittime del terrorismo e delle stragi di tale matrice.

Lo riproponiamo a quanti potesse interessare.

Intervento 9 Maggio 2013

Ringrazio sentitamente a nome della Associazione che rappresento Il Presidente della Repubblica , il Presidente del Senato, quanti si sono prodigati affinché noi fossimo qui oggi. Facciamo nostro l’intervento del magistrato Gabriele Chelazzi Pm nei processi per le stragi del 1993, presso la Regione Toscana il 25 Maggio del 2002. Per il magistrato Gabriele Chelazzi questo anno ricorre il 10 anniversario della sua morte, e leggiamo le sue parole per tutti Loro e per tutti noi.

“Quando in undici mesi il territorio continentale di un paese viene per sette volte aggredito con la strage, non siamo davanti a manifestazioni occasionali della criminalità, per quanto si tratti della criminalità più efferata, non siamo davanti a una pagina criminale della storia del nostro paese, siamo davanti a una pagina della storia del nostro paese fatta anche di criminalità. Ecco perché all’appello queste vicende non chiamano solamente i magistrati, queste vicende chiamano all’appello per intero il corpo sociale, per intero le rappresentanze istituzionali, a cominciare da quelle politiche, per intero le rappresentanze accademiche. Io aspetto che queste pagine, questi anni vengano raccontati bene nei libri di storia.

La Commissione parlamentare Antimafia della quale era presidente l’onorevole Luciano Violante nel biennio 1992-1994 chiuse con una relazione, scritta dallo stesso presidente Violante, che non era per noi cittadini delle nostre città, del nostro quotidiano, delle nostre professioni, era per noi in quanto cittadini della politica, ma soprattutto era per i politici.

Cosa si affermava in quella relazione? Si affermava che era il momento che la rappresentanza politica nelle sue istanze massime nazionali si riappropriasse del potere e del dovere di giudicare, storicamente e politicamente, gli avvenimenti. Era venuto il momento in cui si cessasse di delegare tutto, comunque in ogni caso, al giudiziario. Noi abbiamo vicende giudiziarie della portata delle stragi delle quali il giudiziario si può occupare, ma solamente nei termini in cui ci sono dei reati e delle responsabilità penali. Non tutta la vicenda delle stragi, soprattutto se è una vicenda che è durata un anno, ma forse la dobbiamo congiungere a quella dell’anno prima, allora è durata due anni, ma dal ’92 al ’94 sono tre addirittura gli anni. Tutto quello che è accaduto in questo periodo di tempo ha sicuramente avuto a che fare anche col tritolo, anche con l’organizzazione che ha adoperato il tritolo, ma non è stato solo tritolo, non è stata sola responsabilità penale. Ma quello che è successo in quelle che qualcuno ha definito stanze dei bottoni all’indomani delle stragi, quello che è successo nelle stanze della politica all’indomani delle stragi può interessare al giudice? Solo nei termini nei quali questo diventi, per un meccanismo di ricostruzione a ritroso, la spiegazione di una delle responsabilità; altrimenti il giudice che si occupasse di queste tematiche è un giudice che va fuori tema, è un giudice che sbaglia, è un giudice che legittima quell’eccesso di delega che la politica troppo spesso fa a favore del giudiziario. Non si può aspettare che siano le sentenze pronunziate in nome del popolo italiano, quando le sentenze non riescono a attingere fino in fondo determinate verità, a fare stato rispetto a tutto, anche rispetto ai libri di storia, rispetto alle responsabilità politiche, rispetto al modo col quale si governa un paese, o li orienta istituzionalmente.

La Commissione parlamentare Antimafia di questa legislatura, non della legislatura passata ha deciso, e ha cominciato a farlo, di occuparsi del problema delle stragi; la Commissione parlamentare della legislatura che precede l’attuale non l’ha mai fatto. Perché si aspettava che le sentenze divenissero irrevocabili? È divenuta irrevocabile una sentenza fiorentina, ma altre sentenze devono essere pronunziate, altre sentenze devono divenire irrevocabili. Ci sarà stata una ragione? Non lo so, sono interrogativi che come magistrato mi rifiuto di affrontare, sono interrogativi che stanno sul filo che unisce la società civile e la sua rappresentanza politica.

Dice un mio collega simpaticissimo, milanese, il dottor Davigo, ricorrentemente, quando vuol spiegare i profili della responsabilità politica o della responsabilità amministrativa, che non sono sovrapponibili alla responsabilità giudiziaria, dice: “Se uno invita degli amici a cena una sera, e al momento nel quale li congeda, li saluta perché la cena è finita, si accorge che è sparita metà dell’argenteria da tavola, per non invitarli più non aspetta che ci sia il pretore che li ha condannati per furto, lo decide da sé, non ha bisogno che ci sia una sentenza pronunziata a nome del popolo italiano e con lo stemma della Repubblica”. A ciascuno il suo quindi, a ciascuno il suo in maniera molto corretta (…).

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