Un filo che univa la Liguria alla Sicilia. Da una parte, a Imperia, un gruppo di imprenditori e professionisti con il pallino degli appalti pilotati, questo secondo almeno le indagini condotte dalla Procura della città ligure. Dall’altra parte, ad Agrigento, altri imprenditori che si prestavano a favorire i loro “colleghi” fornendo loro preventivi per forniture che dovevano servire a giustificare maxi ribassi d’asta. Solo che gli imprenditori agrigentini finiti nel mirino della Guardia di Finanza ligure sarebbero in odor di mafia: i loro nomi comparirebbero in indagini siciliane relative al super boss latitante Matteo Messina Denaro.

Potrebbero dunque esserci interessi mafiosi dietro il tentativo di mettere le mani sulla gestione di un acquedotto, quello di Pieve di Teco. Un “affare” però non andato in porto perché l’impresa aggiudicataria si è vista negare dall’amministrazione l’assegnazione della gara. Qualche giorno dopo ignoti hanno bruciato il portone del Municipio, danneggiamento che oggi viene contestato agli indagati. Il pm della Procura di Imperia Maria Di Lazzato ha chiesto e ottenuto dal gip Massimiliano Botti una misura cautelare per quattro persone: Giuseppe Piazza, imprenditore, ritenuto la “mente” del clan, di 51 anni, per il quale è stato disposto il divieto di esercitare la professione di geometra e di ricoprire incarichi direttivi; obbligo di firma, invece, per Luca RiccaAlessandro Lauricella, e obbligo di dimora per Salvatore Crispino, accusati di turbativa d’asta e bancarotta fraudolenta. Tutti imprenditori e tutti residententi a Imperia.

Il gruppo costituiva società, svuotandole però puntualmente, e con le stesse, approfittando della “verginità imprenditoriale”, ottenevano i certificati antimafia e partecipavano a gare di appalto, che in qualche caso sarebbero riusciti a ottenere con vertiginosi ribassi, anche del 40 per cento. I loro guadagni accertati superano il milione di euro. Quando le commissioni di gara contestavano le cosidette anomalie, l’impresa concorrente si giustificava producendo preventivi di comodo, per giustificare così l’offerta presentata, preventivi che giungevano dall’agrigentino, teatro oggi di diverse perquisizioni della Finanza.

Le imprese sarebbero state controllate da Alessandro Lauricella, figlioccio di Mario Davilla, condannato a 11 anni per la sua appartenenza alla mafia agrigentina. Un’inchiesta alla quale un apporto sarebbe giunto dal collaboratore di giustizia Giovanni Ingrasciotta, lo stesso che ha deposto nell’ambito dell’istruttoria contro il parlamentare trapanese Antonio D’Alì e dei contatti tra questi e il latitante Messina Denaro. L’indagine è partita dal fallimento della “Generali Costruzioni”, che ha lasciato dietro di sé ad Imperia un buco da 7 milioni di euro.

Articolo Precedente

Trasferimento processi, Berlusconi “inventa” l’audizione in Cassazione

next
Articolo Successivo

Delitto Garlasco, pg Cassazione: “Annullare assoluzione Stasi e riaprire processo”

next