Allerta a Piazza Affari: il Lussemburgo è pronto ad abrogare il segreto bancario. Ad annunciare la storica svolta, è stato il primo ministro del Granducato, l’ex numero uno dell’Eurogruppo Jean Claude Junckerparlando al Parlamento. “Possiamo senza pericoli introdurre lo scambio automatico di informazioni a partire dal primo gennaio 2015”, ha dichiarato, aggiungendo che la piazza finanziaria del Paese è “pronta a farlo”. Il Lussemburgo corre ai ripari dopo che il suo sistema bancario, per la Ue “sproporzionato”, è finito al centro del dibattito dell’Eurozona. In Lussemburgo ci sono 141 banche, solo 5 locali, e rappresentano 22 volte il suo pil. E’ inoltre il secondo centro di fondi d’investimento al mondo, con 3.800 holding che valgono 2.500 miliardi, 55 volte il suo pil. 

Un punto di riferimento, insomma, per la finanza anche quella italiana e tanta parte del nostro capitalismo che ha affidato molte delle proprie attività alle scatole lussemburghesi per via della nota discrezione e delle agevolazioni fiscali, che rendono più conveniente riversare qui gli utili delle aziende di famiglia e mettere a segno le operazioni finanziarie più delicate. Niente d’illegale, per carità. Ma è chiaro che il cambiamento in atto nel Granducato viene seguito con attenzione anche in Italia. E persino a Piazza Affari dove tutto è regolamentato, ma dove le scatole lussemburghesi e olandesi restano una moda intramontabile.

Ne sanno qualcosa i Pesenti, potenti signori bergamaschi del cemento e, per ora, soci di peso nel patto di sindacato che controlla il Corriere della Sera, dato che sia Italcementi sia la holding Italmobiliare così come le preziose quote in Rcs e Mediobanca sono intestate alla Efiparind bv di stanza in Olanda, dove secondo approderà anche la nuova Fiat Industrial post nozze con Cnh. Ma soprattutto hanno scelto Lussemburgo come cuore delle attività finanziarie del gruppo che fanno capo alla Société de Participation Financière Italmobiliare.

Storia simile per i Rocca, in passato celebrati paperoni di Piazza Affari proprietari tra il resto delle acciaierie Tenaris di Dalmine e dell’Istituto clinico Humanitas di Milano, il cui rappresentante Gianfelice, dopo il ritiro dalla corsa per la successione di Emma Marcegagalia alla guida degli industriali riuniti in Confindustria, è ora tra i candidati alla presidenza di Assolombarda in vista della scadenza di Alberto Meomartini. Difficile ricostruire con esattezza il perimetro dell’impero italo-argentino per via delle numerose ramificazioni, quel che è certo però è che  la multinazionale Tenaris fa capo a una holding lussemburghese direttamente quotata a Milano, New York, Città del Messico e Buenos Aires, mentre le infrastrutture di Techint che hanno edificato buona parte degli ospedali lombardi sono controllate dalla olandese Techint European Holding.

Il caso più tradizionale, però, è quello del patron della Luxottica, Leonardo Del Vecchio, che controlla il suo impero internazionale direttamente da Lussemburgo attraverso Delfin, dove sono custoditi asset per 11 miliardi di euro, incluse le azioni Unicredit e Generali e la partecipazione nella società di ricerca del San Raffaele, MolMed. Il 2011 per il miliardario cresciuto tra i Martinitt è stato tutto sommato generoso: benché in calo del 16%, gli utili di Delfin hanno raggiunto la ragguardevole somma di 436 milioni di euro.

Nella lista vanno poi inclusi quelli, come Luca di Montezemolo e l’amico Diego Della Valle, che hanno scelto strade alternative. Il presidente della Ferrari tanto ansioso di contribuire al risanamento pubblico, per esempio, insieme al figlio Matteo è tra i soci di controllo di Poltrona Frau, ma lo fa passando attraverso una tortuosa catena di holding italiane, una srl milanese e, all’ultimo anello, il fondo lussemburghese Charme Investments cui fa direttamente capo il 52% della società di design di lusso quotata in Borsa.

Della Valle, invece, dopo aver riportato in Italia il controllo di Tod’s nel 2006, ha riservato alla sua cassaforte nel Granducato, la Dorint controllata in Italia dalla Diego Della Valle sapa, il ruolo di custode di partecipazioni che gli stanno a cuore come quella in Rcs, l’editrice del Corriere della Sera, o di incassi come i 250 milioni ottenuti nel 2005 con l’uscita da Bnl

Via tradizionale, invece, per aziende note al grande pubblico come i gioielli Damiani al 56% lussemburghesi o Class Editori, il gruppo editoriale che controlla Milano Finanza il cui 47% è intestato a una holding del Granducato. Lussemburgo anche per la spa che ha direttamente in mano la testata il cui 6% è in mano ad Agorà Finance Sa. Via incestuosa, invece, per la De Longhi. La società dei pinguini, infatti, fa capo a un trust dell’isola di Jersey attraverso una classica società di partecipazioni finanziarie lussemburghese. Del resto gli strumenti sono tanti e la fantasia non fa certo difetto ai fiscalisti.

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