Roba vecchia e nuova. Esempi multipli, esiti compulsivi. Qui si, lì no, tutto fa brodo in campagna elettorale, specie se iniziata a Milanello. Tolleranza zero ma si gioca, “Berlusconi portace a mignotte”, sessismo all’amatriciana in Roma-Milan, To Rome with love dalla Curva Sud. Si giocò pure in Juventus-Inter, ululati a Balotelli come in Italia-Croazia, banane su Euro 2012. Ma non si è giocato ieri allo Stadio Speroni, Pro Patria-Milan, ululati bustocchi per Boateng & Co, abbandono sdegnato dei rossoneri.  

L’UEFA combatte razzismo e discriminazioni varie con programmi anti-sessismo e anti-omofobia, promuovendo gruppi di lavoro con i tifosi e le comunità di minoranze etniche. Percorso lungo ma partecipato, di vera governance dal basso. Platini dice: “In Europa abbiamo deciso di fermare le partite in caso di cori razzisti, prima per 5’ e poi – se non smettono – definitivamente”. Così è, se vi pare.

La FIGC, partner del progetto di rete FARE, crede nell’inclusione degli esclusi, ma già ai tempi dell’affaire Balotelli (di cui sopra) il dubbio si sollevò, eccome: a parte le multe, più o meno pavide, chi sospende o annulla il gioco? Chi decide, cosa? L’arbitro o il questore?

Nel famigerato derby del ‘bambino morto’ (Lazio-Roma 2004), tra gli incidenti decisero i tifosi. Ieri, infranti regolamenti e autorità di arbitro e Responsabile di sicurezza e ordine pubblico allo stadio, ha deciso il Milan, variante già vista al Vélodrome nel 1991, gazzarra illuminata con l’Olympique Marsiglia.

Il problema, oltre gli immancabili imbelli, è che finché fuori e dentro il campo non trionferà uniformità, posizioni certe, univoche e solari, in casi analoghi continuerà a prevalere ancora una volta l’arbitrio (anziché l’arbitro), la tesi del complottismo all’italiana (a Busto Arsizio era solo un’amichevole di provincia, chi lo rifarebbe in Serie A o in Champions League?) o la legge del più forte (la storica ma piccola Pro bustese, non può certo reggere – mediaticamente né a Palazzo – contro l’urto dell’armata berlusconiana).

Siamo seri: si sono infilati in un vicolo cieco. Come per politica e società civile, anche nel calcio c’è bisogno (si) di più rispetto per tutti, ma anche di omogeneità, corrispondenza e certezza nella terzietà del giudizio. Non di populismo istintivo, facilone e ipocrita.

Sbaglia chi vorrebbe far degli stadi le nuove chiese e di tifosi e addetti ai lavori degli apprendisti chierichetti. Non servono incenso e mirra. Alzi la mano chi crede (veramente) nella parabola del figliol prodigo per la penitenza da rosario televisivo inflitta ad Andrea Mandorlini, mister scomunicato dell’Hellas Verona. Intanto Pro Patria-Milan, dicono, si rigiocherà….

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