“L’appuntamento non è stato istituito per ricordare un fatto specifico. La pena di morte andrebbe combattuta ogni giorno”. Riccardo Noury, presidente di Amnesty International Italia, ricorda che da quando il 10 ottobre è diventato il simbolo della lotta contro la pena capitale 17 paesi hanno rinunciato al provvedimento. “Due nazioni, ogni anno, aboliscono la pena di morte”. Altri 43 stati devono ancora cambiare idea e adottare la linea dei 155 paesi impegnati contro il boia. La pena di morte non riguarda solo il singolo. La condanna è l’espressione di una comunità che ha rinunciato alla civiltà. Secondo le autorità tunisine la pena capitale è l’unico strumento educativo che il paese può usare per evitare la distruzione di altre ambasciate straniere. Alla distruzione di quella statunitense, avvenuta lo scorso 14 settembre per il film anti-Islam, seguirà l’esecuzione di 87 persone. Che, peraltro, hanno manifestato contro gli Stati Uniti.
“Dal 2007 l’Italia, evidenzia Noury, opera a livello internazionale contro la pena di morte. Il nostro paese ha avuto una felice intuizione strategica quando ha aperto il dibattito ai paesi non europei. Sulla pena capitale esiste una buona sinergia tra le associazioni e il governo”. Giulio Terzi, ministro degli Esteri, ha chiesto all’Unione Europea di intervenire affinché la Bielorussia rinunci alla pena capitale. “Il paese – ha sottolineato Terzi durante la presentazione del rapporto di Nessuno tocchi Caino – è l’unico del continente che prevede la pena capitale”. In un futuro senza boia, secondo il ministro, c’è il passato migliore dell’Italia. “Del nostro patrimonio giuridico e della nostra identità, ha ribadito Terzi, fanno parte le battaglie di Beccaria e le manifestazioni di Pannella”. Per loro e le persone condannate a morte bisogna costruire un presente riassumibile nell’hashtag #10ottobre.
Le storie dei condannati a morte sono tante, drammatiche. Anche nei paesi occidentali. Anthony, ad esempio, ha 38 anni, da venti vive in prigione. In carcere ci è entrato con il fratello Jeffrey. I due, nel 1992, hanno rapinato un fast-food. Quel furto rubò la vita a una donna. Entrambi i ragazzi furono condannati a morte. Jeffrey, però, è riuscito a ottenere un cambio di pena. Quando ha sparato in un locale di Daytona Beach aveva 16 anni. La minima differenza anagrafica che ha con il fratello è stata sufficiente per garantirgli tutti i giorni che Anthony, entro la fine del 2012, non potrà più vivere. Per lui sta lottando anche l’Italia. Il sindaco di Santo Stefano di Camastra, paese originario della famiglia di Anthony e Jeffrey, ha scritto a Giorgio Napolitano e Benedetto XVI. A entrambi ha chiesto aiuto. Da solo non può cambiare la sorte di Anthony. “Negli Stati Uniti – puntualizza Noury – sono state eseguite trenta esecuzioni dall’inizio del 2012. L’amministrazione Obama non è l’unica del G8 che prevede la pena capitale. In Giappone sono riprese le impiccagioni. A nessun cittadino del paese asiatico, nel 2011, è stata inflitta la pena capitale”. L’hashtag #10ottobre è la parola chiave con cui su Twitter si concentra l’Italia che manifesta (qui l’elenco delle singole iniziative organizzate da Amnesty) e quella impegnata contro la pena di morte. Ieri, oggi, domani.