Allarme rientrato? Con le scuse formali da parte di Damasco l’ennesimo casus belli tra Siria e Turchia sembra essere momentaneamente archiviato. Quella di oggi resta però una giornata significativa per due ragioni: all’alba di stamane si è svolta la prima incursione militare turca in territorio siriano a ben 10 chilometri oltre il confine, un bombardamento «mirato» nella località di Tal Abyad, infatti, ha provocato la morte di almeno cinque soldati siriani e il ferimento di altri quindici. Mentre il parlamento di Ankara ha autorizzato la richiesta, presentata dal governo del primo ministro Tayipp Erdogan, di rispondere militarmente all’azione “aggressiva” dell’esercito siriano. L’approvazione a larga maggioranza ha dato di fatto il via libera, per un anno, a possibili operazioni belliche turche in Siria. Le scuse per il colpo di mortaio che ieri ha ucciso cinque persone nella cittadina di Akcakale, nel sud est della Turchia, sono arrivate dal ministro dell’Informazione siriano, Omran Zoabi, insieme alla rassicurazione che un simile incidente non si ripeterà.

L’escalation di violenza ha suscitato l’ennesima dura condanna da parte della comunità internazionale nei confronti del presidente siriano Bashar Assad, seppure a conclusione della riunione della Nato, chiamata con estrema urgenza oggi a Bruxelles, l’Alleanza atlantica ha ribadito che un intervento bellico in Siria “non è in agenda”.

“Nessuno vuole la guerra. Né Ankara né Damasco. Gli scontri alla frontiera, visto il quadro dei disordini regionali, sono inevitabili”. Paul Salem, direttore del Carnegie, rinomato centro studi per il Medio Oriente a Beirut, fu il primo a prevedere che in Siria ci sarebbe stato “un conflitto civile a bassa intensità destinato a durare per anni”. Oggi ribadisce che i venti di guerra tra i due Paesi della Mezzaluna fertile sono ridimensionabili a “effetti collaterali delle tensioni in Siria nelle aree limitrofe”. Anche se, con la nuova autorizzazione ad interventi militari del parlamento turco, “Erdogan getta le basi per aumentare l’intensità degli attacchi futuri, così come già avvenuto in Iraq contro il movimento indipendentista curdo del Pkk”. Per assistere a significativi cambiamenti nella regione, avverte l’analista: «Occorre attendere l’esito delle elezioni americane. Dalla riunione della Nato di oggi, non a caso, è emersa ancora una volta una chiara volontà attendista”.

Un’attesa però che lascia la Turchia da sola, a difendere il suo caldo confine meridionale e sudorientale, dove contro il Pkk è in corso da oltre quattro mesi un’estenuante battaglia che dall’inizio del 2012 ha fatto oltre 450 vittime. “Il ruolo della Siria nel rinvigorimento delle azioni terroristiche curde è del tutto evidente”, riprende Salem. Da un documento del Carnegie emergono a questo proposito delle analisi inedite sul sostegno di Damasco a un Kurdistan siriano in chiave anti turca, nonostante i partiti politici che rappresentano la minoranza etnica in Sira siano estremamente divisi.

Impegnato nella repressione dell’opposizione ad Aleppo e Damasco, l’esercito siriano ha di fatto lasciato la regione Nord Est del Paese, tanto che che ai primi di settembre è stata proposta l’istituzione di una vera e propria forza militare curda composta dai vari gruppi armati  del Kurdistan siriano.

Dimenticate le vecchie diatribe familiari, al momento nella regione di Qaminshli i curdi vivono in una sorta di stato di grazia. Non solo godono della più totale autonomia (amministrano scuole, uffici, tribunali) ma possono anche imporre tasse sui beni in entrata nel loro territorio. Una faccenda che ha già acceso più di un malumore, tanto che il capo della coalizione curda, Muhammad Salih, è stato accusato addirittura di aver fatto intascare al suo partito ben 200 milioni di dollari tramite gabelle arbitrarie. Al di là dell’aspetto polemico, comunque, sono i campi di addestramento militare che preoccupano di più Ankara. Quelli in cui il Pkk, secondo i turchi, manda i suoi combattenti ad addestrarsi per il raggiungimento del sogno che perseguono dal 1948: l’indipendenza. Sogno parzialmente realizzato nella regione del Nord dell’Iraq, nel cosiddetto Kurdistan iracheno, la cui classe dirigente sta giocando un ruolo fondamentale all’interno dei compatrioti siriani. “La questione curda per Erdogan è molto più cruciale di quella siriana”, spiega Salem, non solo per la ricchezza di risorse naturali presenti nella regione separatista, «ma anche per quell’immagine politica forte che ha fatto di Erdogan un eroe nazionale in corsa per la presidenza, dopo due mandati consecutivi da primo ministro”. Le prove muscolari turche, in attesa di una decisione della comunità internazionale, per il momento sarebbero da vedere per lo più alla luce di una strategia politica interna.

di Susan Dabbous


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