Oggi condividiamo insieme un tema difficile. Siamo all’Hotel Danieli, a Venezia. Un albergo elegante e costoso, sul Canal Grande. Un luogo meraviglioso per turisti privilegiati.

Un facchino mussulmano che ci lavora si licenzia, leggo sul giornale locale, perché non sopporta l’”onta” di ricevere ordini da un suo superiore, se questi è una donna. Ma poi tutto finisce “bene”: l’albergo lo riassume, assicurandogli che da ora in poi le comunicazioni su quel che deve fare le riceverà da un maschio.

Mi sento perplessa, nel leggere questa notizia. Cosa farei se uno studente musulmano mi dicesse, a scuola, che non accetta la lezione da parte di una docente donna? Chiederei a un gentile collega di iscriverlo al suo corso, per venirgli incontro? Cambierei sesso, adeguandomi a questo strano standard di “self-improvement”? Aprirei il dibattito sulla questione?

Non mi sembra una buona idea accettare, in nome della cultura delle tolleranza e della comprensione per altre culture, comportamenti che apertamente svalutano il valore di tutti gli esseri umani – uomini o donne che siano, e che quindi rifiutano di rispettare la dignità di tutti gli esseri umani.

Il tema è delicato e spinoso.

Da una parte sento il bisogno di rispettare che gli altri abbiano le loro credenze, come io ho le mie; dall’altra di sentirmi sicura sulla base della condivisione di valori che mi sembrano fondativi della nostra vita civile. E il rispetto per il valore intrinseco di tutte le persone, senza far differenze tra maschi e femmine lo è.

I valori dell’illuminismo e della nostra cultura li diamo spesso per scontati, e ci sembrano a volte solo teorie a cui oramai siamo tanto abituati da non pensarci più. Ma nel momento in cui viviamo porta a porta con persone che non li condividono affatto, abbiamo l’occasione per accorgerci di quanto sono importanti.

Col cedere su questi valori si relativizza niente di meno che il principio dell’eguaglianza tra le persone, si realizza un precedente che mi pare pericoloso.

Sarebbe forse meglio parlare con la persona che si sente offesa se il suo capo è una donna e informarla, grazie, mettiamo, ad appositi corsi, che esiste, qui dove si trova, un vasto consenso intorno alla condivisione di valori di base, valori fondativi della vita civile, per cui il valore degli esseri umani e il rispetto di base che si deve alle persone, di qualsiasi razza, età e sesso, non si discute; e inoltre, sul posto di lavoro, si rispettano i ruoli e non si danno valutazioni sul sesso di colleghi, sottoposti e capi: non spetta a lui, né a nessun altro, farne. Oltre tutto, nel mondo contemporaneo, dividere l’umanità tra maschi e femmine è una semplificazione che sembra facile e immediata ma è piuttosto rozza e basata su pregiudizi, che sono comode scorciatoie della mente per semplificare la complessità del mondo. Non certo utili per capirlo.

Gli chiederei: “Di che cosa hai bisogno per accettare le regole alla base di questa cultura, che garantisce, oltre tutto, anche le tue figlie, se ne avrai? Che cosa temi, che cosa ti impedisce di accettarle? Come ti sentiresti in una società in cui vieni trattato con meno rispetto per via del tuo sesso? Perché mai altri dovrebbero soffrire una mancanza di rispetto che tu non ti auguri per te?”

Ma come “spiegare” valori fondativi a chi non ha alcuna intenzione di condividerli, e non vuole farseli spiegare?

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