Se ci troviamo in questa situazione, a parlare di spread con gli occhi spiritati applaudendo in curva il sorpasso del Bonos sul Btp o il rimbalzino della Borsa sui dati della disoccupazione in California non è solo colpa della noia o delle nostre nevrosi quotidiane. E’ colpa anche delle persone che abbiamo delegato a rappresentarci in parlamento e nei governi, o dei partiti che – ahimè – hanno scelto per noi. Schiere di onorevoli, senatori e, fuori dall’Italia, MP, lord, MEP, MdB che negli ultimi venticinque trent’anni si sono lasciati sedurre dalla magia della finanza, dal mito della crescita infinita della prima industria della storia capace di distruggere valore o, nella migliore delle ipotesi, di trasferirlo dalla produzione alla rendita.

Per chi avesse ancora qualche dubbio su questo processo (apparentemente irreversibile) di occupazione progressiva dello spazio politico da parte dei “mercati” e delle loro ragioni può tornare utile leggere l’ultimo rapporto del Bureau of Investigative Journalism un’organizzazione non profit londinese formata da giornalisti investigativi che pubblicano inchieste e reportage riproducibili e ripubblicabili liberamente.

Le analisi del Bij hanno rivelato che l’industria finanziaria della Gran Bretagna paga 93 milioni di sterline all’anno (110 milioni di euro) per fare lobbying su parlamentari, ministri, segretari e sottosegretari, foraggiando una gioiosa armata di oltre 800 persone riunite in 129 diverse organizzazioni che negli ultimi anni sono riusciti, nell’ordine, a:

  • tagliare le tasse sulle imprese e sulle sedi estere delle banche, cosa che ha portato a miliardi di risparmi per gli operatori finanziari;

  • eliminare un programma nazionale per uno schema pensionistico non profit di cui avrebbero beneficiato milioni di lavoratori interinali sottopagati;

  • bloccare sul nascere i piani del governo per creare un nuovo organo di supervisione sulle società quotate;

  • consigliare al governo britannico di resistere ai tentativi dell’Unione Europea di regolamentare in modo più rigoroso il settore finanziario.

Indignato, il ministro britannico del business, il liberal-democratico Vince Cable, ha dichiarato che il sistema finanziario ha “un’influenza spropositata” che deve essere limitata. Cable si è anche dichiarato “preoccupato” perché “si ritiene troppo spesso che gli interessi delle banche rappresentino l’interesse nazionale”.

Peccato che i conservatori, suoi colleghi nella coalizione di governo, nel 2011 abbiano ricevuto il 92,3% delle donazioni ai partiti da parte dei lobbisti della finanza. Un tesoretto pari a 6,11 milioni di sterline. Mentre 124 membri della Camera dei Lord hanno legami diretti con istituti finanziari. Niente di cui stupirsi: l’industria finanziaria vale il 9% del Pil della Gran Bretagna. Se non si penserà a un serio programma di “riconversione industriale” la difesa di banche e finanziarie continuerà a coincidere, almeno in parte, con la difesa di interessi nazionali. Come cittadini ed elettori dovremmo iniziare a preoccuparci seriamente, votando di conseguenza. Altrimenti, per contrappasso, saremo costretti a parlare di spread, bund, Cds e memorandum per il resto dei nostri giorni. 

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