Quando il comunismo finì a tavola. Trentatré anni per smettere di mangiare bambini, di Fernando Coratelli (CaratteriMobili), è un testo adatto ai tempi. Come scritto esaustivamente nella sinossi: in poco più di una generazione si è passati dai comunicati delle Brigate Rosse ai tweet sui social network, dal pane e salame smozzicato durante le occupazioni universitarie agli emo che sbocconcellano uramaki in sushi bar gestiti da cinesi: un maelstrom di mondializzazione rapidissima ed esagitata che ha inglobato gusti musicali, mode, cucine, lasciando al palo idee, ideologie e memorie. Partendo dal 1978 e procedendo a balzelli di undici anni, si dipanano quattro tappe fondamentali della nostra storia (l’omicidio di Aldo Moro, la caduta del Muro di Berlino, i movimenti no global e i terribili giorni della crisi del 2011). Sullo sfondo, come fosse una scenografia, due grandi indicatori della nostra società: la musica e il cibo. E così tra un concerto dei Cure e un piatto di pennette alla vodka, tra la nebulizzazione del Pci, le prime importanti storie d’amore e l’avvento dello Slow food, Fernando Coratelli squaderna davanti agli occhi del lettore trentatré anni di avvenimenti, di amarezze, di dubbi e, perché no, di epica.

Una prosa divertente, un libro utile, soprattutto per le generazioni più giovani, e per riaprire ricordi personali a chi è nato nei primi anni ’70 o anche prima. La mia Italia degli anni ’80 non è molto diversa da quella descritta dall’autore, anche se non ho mai amato molto il “movimento” musicale dark o non sono stato a Bari prima del 2001. Sono i sentimenti che traspirano da questa originale storia a essere comuni di una o più generazioni. E a mano a mano che si legge e ci si commuove o si sorride con gli aneddoti di questo pezzo di storia nazionale più viene da pensare che, globalizzazione a parte, l’Italia non è poi così diversa da quella che assisteva muta alle prestazioni di Rossi e compagni negli stadi dell’Argentina sanguinaria di Videla o da quella spiazzata e immobile davanti al crollo del comunismo “Patto di Varsavia Style”.

L’autore, nato a Bari nel 1970, si è laureato in Giurisprudenza e vive e lavora a Milano, dove svolge l’attività di ghost writer, traduttore, consulente editoriale e redazionale per varie case editrici. È cofondatore dell’agenzia MacchiaUmana. Scrive per vari blog letterari ed è cofondatore e direttore editoriale della webmagazine letteraria Torno giovedì, uno degli spazi più interessanti di sinergie culturali in rete, con una commistione molto curata fra fotografia, narrativa, poesia e reportage particolari.

In questi mesi, direttamente dal Paese dove si mangiavano bambini è uscito un altro libro molto interessante e divertentissimo sulla nostalgia e su quella che fu l’Unione Sovietica. Un libro che io utilizzerei all’università come supporto per una Storia antropologica della Russia in età contemporanea. Presentato al Salone del Libro di Torino di quest’anno, edito dalla dinamica e competente casa editrice marchigiana Hacca Edizioni, Nato in URSS, di Vasile Ernu è un testo utile per cancellare molti pregiudizi sull’homo sovieticus. Come scrive lo stesso autore: “Io provo a raccontare un mondo, un mondo scomparso. E in questo percorso procedo da una tesi semplice: indifferentemente dal sistema in cui vivi, indifferentemente dall’ideologia, dalla repressione, la cosa più importante è la vita. Io provo a raccontare la vita, la vita comune, quella di ogni giorno, la vita quotidiana di un cittadino sovietico: come si veste, come vive, cosa fa a scuola, come beve, che rapporto ha con il sesso, che oggetti utilizza, che film vede e che musica ascolta, come si diverte, chi ama e chi odia, come sta in fila e di cosa conversa in cucina… E tanti altri elementi che costituiscono la nostra vita. Il tutto è scritto con una certa dose di tenerezza, quando è necessario non mancano gli elementi nostalgici, ma c’è anche molta ironia. Allo stesso tempo, io faccio riferimento sempre anche al presente. Il libro è una sorta di sguardo dal presente verso il passato, per questo non dimentico di ironizzare sul mondo nuovo, sulle nuove ideologie, sui nuovi clichè”. Inoltre, per tornare al discorso “alimentazione e bevande” evocato anche da Coratelli: “Costruire il comunismo senza alcool è come fare il capitalismo senza pubblicità”.

Vasile Ernu è nato in URSS nel 1971 ed è scrittore e filosofo romeno della Bessarabia. Si è trasferito in Romania dopo il golpe del 1991. Ha lavorato come redattore presso le riviste Philosophy&Stuff e artă+societate e presso le case editrici Idea e Polirom. Oggi scrive su România liberă e HotNews e sulle riviste culturali Observator Cultural, Noua literatură, Suplimentul de cultură. Nato in URSS è stato il suo esordio letterario. In questi giorni, sempre edito da Hacca Edizioni, uscirà Gli ultimi eretici dell’Impero, un libro che si colloca al confine tra saggio e romanzo, in forma di dialogo epistolare, e vede come protagonisti due eroi anticonformisti, Vassilij Andreevič e A.I., appartenenti a due “imperi” diversi e generazioni diverse: uno è un vecchio terrorista dissidente che aveva tentato di assassinare Stalin, l’altro è un giovane scrittore, esperto in frodi bancarie. Entrambi hanno, tuttavia, uno stesso scopo: lottare contro l’inquinamento ideologico.

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