Recentemente, nel rapporto annuale 2012, l’Istat ha pubblicato gli ennesimi dati sulla diffusione della precarietà in Italia. Come al solito, il target di riferimento è solo il lavoro subordinato. Poco o nulla ci viene detto invece sulla dinamica della precarietà per le forme di lavoro autonomo e parasubordinato, dove sappiamo da altre fonti (vedi Cnel e Isfol) che l’incidenza dell’intermittenza lavorativa e i livelli di subalternità e ricattabilità sono maggiori, soprattutto nell’ambito dei cd “lavoratori della conoscenza”. Pur nella limitatezza dei dati, il quadro che scaturisce è preoccupante e sconfortante. “Dal 1993 al 2011 gli occupati dipendenti a termine – sottolinea l’Istat – sono cresciuti del 48,4% (+751mila unità) a fronte del +13,8% registrato per l’occupazione dipendente complessiva. Nel2011 l’incidenza del lavoro temporaneo sul complesso del lavoro subordinato è pari al 13,%, il valore più elevato dal 1993; supera il 35% (quasi il doppio del 1993) fra i 18-29enni”. L’occupazione a tempo pieno e a durata indeterminata continua a diminuire (-105mila unità) ed è cresciuta quella a tempo parziale (+63mila).

Questi semplici dati ci mostrano due tendenze principali: il contratto atipico (precario) nel lavoro dipendente ha un effetto di sostituzione del contratto standard e stabile e, in contemporanea, cresce il peso della sottoccupazione. E’ la stessa Istat, infatti, a dichiarare che l’aumento del part-time è dovuto “esclusivamente ai lavoratori che hanno accettato un lavoro a orario ridotto non riuscendo a trovarne uno a tempo pieno (dal 42,7%del 2010 al 46,8 del 2011)”.

Si tratta di un esito che è l’opposto di quello che veniva demagogicamente propagandato per giustificare l’introduzione di continue tipologie contrattuali atipiche, ovvero favorire l’ingresso dei giovani nel mercato del lavoro e ridurre il loro tasso di disoccupazione. La situazione oggi, aggravata anche dalla crisi economica, è sotto gli occhi di tutti tranne che al governo Monti, alla Ministra Fornero e a tutti coloro che dall’alto dei loro scranni accademici e senatoriali (gli Ichino, i Giavazzi, ecc.) si ostinano a chiedere ancor più precarietà come condizione per la crescita economica (!).

Ma a tale situazione negativa, occorre aggiungerne un’altra, che l’Istat conosce ma si guarda bene dal diffondere. La precarietà, oggi non più solo un fenomeno giovanile e temporaneo, ma sempre più esistenziale, strutturale e generale (come San Precario sosteneva e sostiene da più di un decennio), tende a sfociare in forme di disoccupazione. Una disoccupazione che spesso è accompagnata dall’emergere di nuove e vecchie forme disagio sociale: il lavoro sommerso come nascosta forma di occupazione e la crescita del fenomeno dei cosiddetti “scoraggiati” (ovvero persone che vorrebbero lavorare ma non cercano lavoro in quanto pensano di non trovarlo) e in particolare quello dei Neet under 35 (i giovani Not in Education, not in Employment, not in Training).

Gli individui che non cercano un lavoro (e quindi non rientrano nei dati “ufficiali” dei disoccupati) – ovvero che non hanno svolto almeno un’azione di ricerca di lavoro nelle quattro settimane precedenti quella di riferimento dell’indagine – ma sono comunque disponibili a lavorare entro due settimane sono pari, nella media del2011, a2milioni 897mila, l’11,6% delle forze di lavoro. Si tratta di coloro che nei mass media sono denominati “scoraggiati”.

Se prendiamo in considerazione anche i lavoratori in cassa integrazione, che l’Istat si ostina a calcolare come “occupati” anche se nella realtà non svolgono alcuna attività lavorativa, il dato sulla disoccupazione reale cresce ancora. Secondo i dati Cgil, nel corso del 2011, il numero dei cassa integrati a zero ore è pari a 458.000 unità. Se sommiamo ai disoccupati “ufficiali” e agli “scoraggiati” anche le persone in cassa integrazione, i disoccupati totali reali risultano superiori ai 5,5 milioni (5,584 per l’esattezza) con un tasso di disoccupazione reale pari al 19,6%, un valore di poco inferiore al dato spagnolo (21,7%). Di fatto un valore più che doppio da quello “ufficiale” (9, 6%)!

La vera emergenza sociale che oggi agita l’Italia è quindi quella della “sicurezza sociale”. Ma nulla viene fatto al riguardo. Nonostante che alcune proposte siano state avanzate, anche da San Precario.

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