Tempi duri per chi scarica film e musica. La High Court britannica, l’Alta Corte del Regno Unito, ha ordinato a cinque Internet provider del paese di impedire l’accesso al sito di filesharing The Pirate Bay. Il blocco partirà entro pochi giorni ed è stato deciso “per l’infrazione delle leggi internazionali e nazionali relative al copyright”. Il giudice ha così imposto a Virgin Media, TalkTalk, O2, Everything Everywhere e Sky di filtrare l’accesso usando gli stessi dispositivi tecnologici utilizzati per bloccare siti pornografici o di apologia al razzismo. Ma nel Regno Unito le associazioni di difesa dei consumatori e delle libertà civili si ribellano.

Una di queste, l’Open Rights Group, ha subito fatto sapere: “In questo modo si apre una nuova era per la censura in Gran Bretagna. E dei normali criminali, coloro che scaricano illegalmente, vengono improvvisamente trasformati in eroi”. The Pirate Bay ha, nel solo Regno Unito, tre milioni e 700mila utenti. E il sito, solo nel mese di ottobre del 2011, ha guadagnato dalla pubblicità oltre tre milioni di dollari, circa due milioni di euro, permettendo agli oltre trenta milioni di utenti in tutto il mondo di scaricare quattro milioni di copie ritenute ora dal più alto organo giuridico inglese “illegali”.

Rimane il dubbio sulla reale possibilità del blocco. Il più grande Internet provider britannico, BT, ha infatti concordato con il giudice di rimandare il momento del blocco, in quanto non ritiene di essere ancora in grado di impedire veramente l’accesso. Come dimostrato più volte in passato per siti analoghi il divieto si è rivelato difficile, in quanto un sito può essere riproposto in altri paesi e con altro dominio, grazie anche al lavoro di volontari. Ben 1800 persone in tutto il mondo, per esempio, aiutarono WikiLeaks a non morire. Caso diverso, chiaramente, vista la differenza di contenuti. Ma questo potrebbe capitare anche per The Pirate Bay.

I giornali britannici, Daily Telegraph e Guardian in prima fila, oggi scrivono che, per impedire veramente l’accesso a un sito, nel mondo dell’Internet globalizzato, al momento servirebbe una tecnologia potente come quella usata dalle autorità cinesi per la censura. Un enorme sforzo, anche economico, richiesto agli Internet provider, e ci si chiede se non sia il caso di sanzionare gli utenti invece che colpire chi fornisce contenuti in Rete. A gioire, intanto, sono le case discografiche britanniche e mondiali, così come le major del cinema. Da loro è stata fermamente voluta e cercata la pronuncia del giudice dell’Alta Corte britannica. E quella che in molti vedono come una nuova forma di controllo può così andare avanti. Partendo da uno dei siti di filesharing più usati al mondo, e da più tempo.

Ma il Copyright, Designs and Patents Act 1988, la legge di riferimento, parla chiaro. E così, nel Regno Unito, si ricomincia a parlare anche del caso di Richard O’Dwyer. Sul giovane 23enne britannico pende una richiesta di estradizione dagli Stati Uniti. Il ragazzo, infatti, qualche anno fa aveva messo in piedi tvshack.net, un sito che funzionava come un enorme motore di ricerca per trovare programmi televisivi da guardare online. Nessuna produzione di contenuti, quindi, ma semplice collezione di altri siti già esistenti. Il problema, chiaramente, era che O’Dwyer non aveva messo in piedi accordi con case di produzione e con canali televisivi. E così, ora, se veramente estradato in America come in molti temono, rischia fino a dieci anni di carcere. La madre del giovane, intanto, con la sua campagna contro l’estradizione del figlio, è diventata una paladina della difesa dei diritti della Rete nel Regno Unito.

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