A Venezia è l’argomento del momento. Gli incassi del Casinò Municipale precipitano e il Comune (che è il proprietario) non ne ricava più quanto era solito, con conseguenti rischi di tagli di servizi sociali. Decide così di intraprendere una ristrutturazione che potrebbe avere come esito finale più probabile la cessione ai privati. I 630 dipendenti si sentono minacciati e intraprendono lunghi scioperi (15 giorni nell’ultimo mese) che hanno già causato mancati incassi per milioni di euro.

È una storia di mala gestione che viene da lontano e nessuno, proprio nessuno, ci fa bella figura.

Finché era il periodo delle vacche grasse (cioè regime di oligopolio dei 4 casinò italiani) il Comune di Venezia incassava oltre 100 milioni all’anno e tutto il resto passava in secondo piano: la gestione clientelare, il nepotismo, l’inefficienza, gli eccessivi costi del personale (a tutti i livelli). Tutti avevano la loro fettina di torta e via a campare.

Intanto intorno a loro il mondo del gioco per denaro cambiava, ma la dirigenza (di nomina politica, magari con cariche barattate in anticipo in cambio di appoggio elettorale) non se ne accorgeva.

Da una parte si sviluppava il gioco via internet e chi aveva l’intuizione di percorrere questa via veniva silurato, tanto che si è arrivati al paradosso che nel web il Casinò di Venezia non è più proprietario del marchio “Casinò di Venezia”.

Dall’altra i casinò d’oltre confine aggiornavano la loro offerta: accoglienti alberghi a prezzi ragionevoli, centri benessere, spettacoli, ristoranti adeguati e quant’altro, cercavano insomma di rendere piacevole il soggiorno dei visitatori puntando su un concetto più moderno di intrattenimento complessivo, non basato esclusivamente sul gioco. Non così a Venezia, che è un casinò del passato: basta mettere piede a Nova Gorica per accorgersi della differenza di impostazione.

E così dai 214 milioni del 2006, gli incassi sono progressivamente scesi fino ai 147 milioni del 2011 e sono ancora in picchiata.

Nessuno sembra in grado di proporre un piano industriale serio e adeguato ai tempi.

In un incontro con le varie parti l’associazione 40xVenezia ha tentato di fare il punto per capire come potrebbe andare a finire:

– L’assessore incaricato (Antonio Paruzzolo) parla di un bando per individuare un “advisor” internazionale in grado di suggerire il da farsi… evidentemente nella lautamente pagata dirigenza difetta la necessaria competenza.

– L’opposizione (Michele Zuin) sottolinea che l’azienda in sé è comunque in attivo (e vorrei vedere un casinò in passivo…) e quindi va bene così, il Comune potrebbe accontentarsi di incassare meno.

– I dipendenti sono assolutamente contrari all’ingresso dei privati: dicono che Venezia non deve perdere una simile azienda… ma non presentano un loro piano industriale alternativo; i maligni ipotizzano che la loro lotta dipenda dal timore che con i privati potrebbero perdere una buona fetta dei loro privilegi, vale a dire redditi piuttosto alti (in 120 superano i 100.000 euro/anno fra retribuzione e mance!). E difettano di flessibilità: per capirci, se i giocatori cinesi (che sono tra i maggiori frequentatori) chiedono più tavoli di Punto Banco, loro si oppongono, perché si tratta di un gioco che garantisce poche mance.

Chi ha ragione, allora? Forse nessuno. E poi ci sarebbe davvero qualcuno disposto a mettere subito sul piatto centinaia di milioni oltre che a garantire lauti incassi per il Comune nei prossimi decenni prendendosi la gestione di un’azienda fin qui condotta in questo modo? Fra un po’ il Comune di Venezia potrebbe davvero essere costretto a svendere, magari qualcuno di scaltro ci farà un buon affare, pretendendo pure mano libera con dirigenza e personale.

I nostri eroi intanto si consolano considerando il calo di incassi che ha colpito anche gli altri casinò italiani, ma dimenticano di guardare oltre confine, dove ci sono situazioni fiorenti e dove già si progettano i casinò di domani, veri centri vacanza integrati.

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