I Mohicani dello status quo, da Tremonti a Bersani, sono in tripudio. Confidano che Hollande brandisca un grimaldello abbastanza robusto per la serratura del forziere tedesco. Riassaporano i tempi in cui lo Stato non subiva vincoli di bilancio e le “politiche industriali”, unte dal grasso tangentizio, decretavano il successo impreditoriale.

Ma nonostante gli slogan gauchisti, le risorse per riportare in auge quel mondo sono esaurite da tempo anche in Francia, dove i conti pubblici rotolano su una ripida china. Politici e analisti insistono che diminuzione dell’età pensionabile, revisione del fiscal compact o aliquote fiscali al 75 % siano specchietti per le allodole. Il Presidente Hollande dovrà abbandonare ogni velleità, come Jospin, perché non ha alternative.

Del resto, secondo un cinico adagio, in campagna elettorale si fotte (pardon) l’avversario, vinte le elezioni si fottono gli elettori. Ma pochi se la sentono di scommettere sul cinismo di Hollande, per cui si intensificherà l’esodo dai titoli francesi, demolendo il revanchismo della politique d’abord. L’euro e i debiti sovrani di Eurolandia sono il campo minato su cui incede traballando l’economia globale. Quindi la Francia, trattata con i guanti dalle agenzie di rating, ha margini di manovra tenui come chiffon. Alcuni esperti spiegano che i francesi votano al primo turno con il cuore, al secondo con il portafogli. Sempre che fra dieci giorni vi sia rimasto qualcosa.

Il Fatto Quotidiano, 24 Aprile 2012

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