Una ipotesi, o meglio un consiglio, per passare il 25 aprile: visitare la XV Biennale Donna a Ferrara, l’unica biennale d’arte contemporanea al femminile d’Europa. Nasce nel 1984 dall’Unione Donne Italiane, che ha scelto e riunito al proprio interno il comitato scientifico, composto da operatrici del settore nell’ambito dell’arte. Da allora l’Udi ha lavorato per trovare fondi comuni pubblici e privati, ha ricevuto i patrocini del Comune e della Provincia di Ferrara, della Regione Emilia Romagna e l’interesse del Pac, il Padiglione d’Arte Contemporanea dove si svolge la Biennale.

Si tratta di un appuntamento che ha visto nel suo passato nomi internazionali e storici di artiste quali Louise Bourgeois e Kiki Smith. Quest’anno a curare la splendida biennale i nomi di Lola Bonora e Silvia Cirelli, che hanno deciso un tema e un titolo: Violence. Ma non si tratta solamente della violenza fisica rivolta alle donne “Non è il tema predominante” ci dice la curatrice Silvia Cirelli “la violenza espressa dalle artiste è anche una violenza politica, la violenza della guerra, del potere.”

Molto dipende anche dalla provenienza delle artiste. Regina Josè Galindo, guatemalteca, documenta attraverso scatti fotografici le sue performance estremamente dirette e significative. In “Peso”, svoltasi a Santo Domingo, ha vissuto per quattro giorni incatenata, muovendosi per la città, tentando di svolgere le proprie attività quotidiane imbrigliata, soffocata dai pesanti vincoli. “Una protesta contro la legge statunitense che criminalizza gli immigrati che tentano una vita migliore attraverso l’espatrio”, chiarisce Silvia Cirelli.

Ancora più violenta la performance in cui l’artista, nuda, avvolta in un enorme sacchetto di cellophane, viene lasciata in una enorme discarica a cielo aperto. “La performance si è svolta nelle baraccopoli a Guatemala City e Mexico City, zone di abusi e omicidi soprattutto di donne indigene. La donna è ridotta a rifiuto urbano.”

Un messaggio altrettanto forte, stilisticamente e concettualmente raffinato, proviene dalla artista Pakistana Naiza Khan. Dal suo Paese dove risiede, sempre più avamposto dell’integralismo islamico portato ai confini dai talebani, Naiza costruisce della lingerie e dei leggeri vestiti che mettono in risalto le forme femminili, ma in metallo. Si tratta di calchi-armature indossabili, dove alla costrizione fanno da contrasto delle piume, piccoli elementi di civetteria femminile su pesanti strutture costrittive.

Valie Export è esplicita e grandiosa allo stesso tempo “con 105 kalashnikov veri costruisce una piramide che si riflette su una base di olio esausto. Il messaggio politico è evidente: le nuove guerre, rappresentate dalle armi, sono costruite sul petrolio e dentro di essere si riflettono. L’odore intenso, nauseabondo dell’olio esausto contribuisce a creare una forma di disgusto fisico verso questa torre della violenza”.

E infine, in questa selezione di artiste, ricordiamo anche la star, Yoko Ono, che ha concesso alla mostra i video di due celebri performance “Cut Piece” nelle versione del 1965 e in quella del 2003. “Se nella prima versione Yoko Ono era inginocchiata sul palco permettendo, muta e immobile, agli spettatori di tagliare pezzi del suo vestito, nel 2003 è seduta e questa operazione del taglio non è più segno di umiliazione della donna ma di liberazione dell’artista dal peso delle vesti“. Scherzando con Silvia Cirelli ci immaginiamo con quale approccio diverso si saranno avvicinati gli statunitensi nel 1965 a una giovane artista giapponese rispetto alla reverenza con la quale avranno toccato le vesti della vedova Lennon nel 2003.

La mostra è aperta da martedì a domenica dalle 9 alle 13 e dalle 15 alle 18. Per informazioni www.artemoderna.comune.fe.it.

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