La cronaca (nera) ci dice che in Grecia la disoccupazione ha raggiunto il 21% mentre era il 10% all’inizio della crisi, alla fine del 2009. Il numero delle persone senza lavoro è raddoppiato arrivando oltre il milione, su una popolazione di circa 11 milioni di anime. I motivi della tragedia sono molti e spaziano dalla mala gestione della nazione adagiata su un tenore di vita insostenibile, all’aiuto non tempestivo da parte della UE, alle misure che hanno innescato un spirale recessiva, al crollo del Pil.

Nelle ultime settimane abbiamo assistito alle trattative tra Governo Greco e BCE, UE e FMI, per concordare un piano di aiuti, a fronte di un programma di risanamento dei propri conti da parte della Grecia. L’erogazione del fondo costerebbe alla Germania una quota di 35 miliardi di euro ma sembra che il non salvataggio della Grecia le costerebbe 45 miliardi di euro, per le ripercussioni sulle proprie banche etc.; ciò porta la Germania, per interessi di bottega, ad aderire. Non prima però di avere venduto cara la pelle o meglio di averla fatta vendere a carissimo prezzo ai Greci; eh si, perché parte del piano richiesto alla Grecia consiste nel licenziare altri 150.000 dipendenti pubblici entro il 2015, nel tagliare 1 miliardo di costi dalla sanità, nella eliminazione delle tredicesime mensilità, e nella riduzione dei salari del 20%.

Misure che, considerazioni strategiche a parte (cioè: accelerare la spirale recessiva del paese in maniera così violenta lo farà uscire dalla crisi o lo affosserà definitivamente?), sono un colpo durissimo al tessuto sociale del paese e che, tra l’altro, per il modo nel quale vengono chieste, sono viste anche da osservatori esterni come una severa limitazione di sovranità. Da notare che nel frattempo Germania e Francia continueranno a imporre l’acquisto di armi da parte greca; la Germania ha avuto commesse per 1,7 miliardi di euro nel 2009-2010; la Francia invece fornirà per un totale di 4,5 miliardi di euro. Nel 2012 le spese greche per la difesa sono previste crescere del 18% mentre quelle sociali vengono tagliate del 9%. Sembra che Merkel e Sarkozy, già dal 2010 abbiano subordinato alle commesse militari l’approvazione agli aiuti; parlare di carità pelosa è riduttivo, saremmo allo schifo assoluto.

I disoccupati aumenterebbero di altre 150.000 unità, portando il numero a un milione e cento cinquantamila persone, cioè oltre l’11% della cittadinanza totale e circa il 25% dei potenzialmente attivi. Con una recessione aggiuntiva causata dall’ulteriore crollo dei consumi, i disoccupati aumenterebbero ancora. Questa prospettiva è socialmente sostenibile? Quali alternative avrebbero i cittadini Greci al semplice morire di fame? Una emigrazione di massa verso paesi più ricchi, Germania, Francia, forse Italia? Una rivoluzione? I segnali di ieri da Atene sono più che preoccupanti anche se potevano essere previsti e forse dovremmo anche abituarci.

Credo che chi si illude che la Grecia possa rimanere nell’ambito europeo sarà deluso, perché sia nell’ipotesi della attuazione del programma di “salvataggio” sia in quella dell’abbandono della Grecia a se stessa il prezzo che i greci dovrebbero pagare sarebbe per loro insostenibile; mi si obietterà che non ci sono alternative e che i greci pagheranno i propri errori; è plausibile e non trovo nulla di irrealistico nel fatto che le altre nazioni rifiutino di accollarsi per un tempo medio lungo la soluzione del problema greco con annesse ricadute economiche su tutti i cittadini europei.
Questa ultima possibilità rientra nelle logiche degli equilibri e scontri tra nazioni diverse che nel passato portavano guerre e invasioni o, nella migliore delle ipotesi, migrazioni di massa; non rientra però nella logica di una Unione Europea che volesse essere qualcosa di più di un mercato comune con valuta unica, per costituirsi almeno come federazione effettiva di stati. Per fare questo occorrerebbe uscire dalla logica dell’utilitarismo per passare a una relazione solidale; la stessa relazione che ha animato la riunificazione tedesca o, con qualche frizione, i rapporti tra Italia del centro Nord e Italia del centro Sud.

Ovviamente ciò non è obbligatorio né magari realizzabile, perché gli interessi di alcuni stati lo impediscono; allora forse conviene prenderne atto e pragmaticamente smetterla di inneggiare all’europeismo, che alla prima prova del fuoco sconta pesantemente in modo crudo la differenza tra le varie nazioni; soprattutto conviene smettere di pensare che le misure per la soluzione della crisi che attraversa l’Europa e il mondo vadano pensate all’interno degli schemi che stanno mostrando tutti i loro limiti: le utopie della crescita equilibrata e infinità nel mercato libero globale e quella dello sviluppo armonico delle nazioni europee nell’ambito di una casa comune.

A meno che non si abbia il coraggio di fare un passo storico e sotto l’effetto dello shock economico, in barba a Friedman buonanima e anche alle idee di Mario Monti, anziché procedere alla demolizione più o meno veloce degli stati sociali, si dia una accelerata poderosa verso la costituzione di una comunità sovranazionale nella quale si condividano solidalmente benefici, opportunità, problemi e sacrifici, passando attraverso la costituzione di una effettiva federazione di Stati dotata di tutte le strutture necessarie, includendo ad esempio una banca centrale che garantisca i debiti di tutti, indifferenziatamente.

Tertium non datur.

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