“Dal 1891 a oggi solo un regime era riuscito a cancellare la presenza della Cgil nelle fabbriche. Colpisce che le reazioni siano timide o nulle”. Giorgio Airaudo, responsabile nazionale del settore auto della Fiom, racconta così, oggi sul Fatto Quotidiano, quanto successo “a Mirafiori una mattina di gennaio, poche ore per sbaraccare 110 anni di storia: i ritratti di Enrico Berlinguer e le foto di Bruno Trentin, sgombrate in camion con le bandiere. A Mirafiori come nel resto d’Italia, nel silenzio generale, la Fiom è stata cacciata da tutte le fabbriche Fiat. Siccome non abbiamo firmato il contratto imposto da Sergio Marchionne, ci tolgono l’agibilità democratica”. Ottanta stabilimenti italiani, 86 mila lavoratori “usciti, con un colpo di penna di Sergio Marchionne, dal contratto nazionale e dai diritti elementari che quel contratto garantiva”. E ancora: “Nemmeno Vittorio Valletta si era spinto così oltre”.

Sembra impossibile, il racconto di un romanzo ambientato in un futuro oscuro, un nuovo “1984”, invece è tutto vero. Marchionne, troppo in fretta ai tempi del suo arrivo in Fiat promosso anche dalla sinistra come l’uomo del giusto rilancio, cacciando la Fiom, ha commesso il più terribile degli auto-gol. Perché la Fiom, come racconta Airaudo, è più viva che mai: “Abbiamo iniziato a fare attività durante la pausa mensa e durante le pause alle macchinette del caffè, persino negli spogliatoi, dove il divieto di propaganda e informazione non può essere applicato, perché la legge 300 consente proselitismo sindacale, in tutti gli spazi in cui non si interrompe la produzione. Ecco perché i lavoratori hanno ripreso a fare i giornali parlanti con i megafoni, durante l’orario del pasto, davanti agli occhi increduli dei capireparto. Visto che il diritto di sciopero non può essere – per fortuna – cancellato, sono state dichiarate le prime serrate, convocate con cartelloni attaccati con lo scotch ai cancelli esterni delle fabbriche”. Oggi è tempo di essere accanto alla Fiom, di essere partigiani accanto alla Fiom. Esibendo, con orgoglio, quella tessera. L’unica, forse, che ci è rimasta davvero.

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