Nei giorni scorsi si sono verificati alcuni eventi che meritano approfondita riflessione.

Il primo risale al 5 gennaio, quando è apparsa sul Giornale di Vicenza la notizia di un ragazzo di 20 anni che ha tentato il suidicio, poi dissuaso da passanti e polizia, perchè ha confessato ai genitori di essere gay. La reazione di questi ultimi, evidentemente, è stata talmente negativa che il ragazzo ha pensato non valesse più la pena di vivere. Una persona razionale potrebbe (o forse dovrebbe?) pensare che quei genitori dovrebbero farsi un bell’esame di coscienza, perché rifiutare un figlio perché omosessuale è contrario ai loro doveri. Poi, però, si va avanti nel leggere altre notizie e si scopre che la nostra società non è molto diversa da quei genitori. Anzi.

Partiamo dalla dichiarazione che Papa Benedetto XVI ha rivolto agli ambasciatori accreditati in Vaticano lunedì scorso, 9 gennaio, il cui testo integrale è disponibile sul sito della Santa Sede. Secondo il Pontefice è dovere di tutti difendere la famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna. Ogni diversa convinzione “è contraria alla dignità umana” e va pertanto combattuta.

A questa presa di posizione ufficiale si aggiungono le dichiarazioni – per carità, le associamo a quelle del Papa solo per la materia che trattano e non certo per l’autorevolezza della voce da cui promamano – del Prof. Francesco Bruno, il quale dall’alto del suo scranno cattedratico pensa che i gay siano persone malate e anormali. Parole alle quali fa da pendant quanto detto da quel pressoché sconosciuto assessore ai trasporti di Lecce, ora dimissionario, per il quale Nichi Vendola, in quanto omosessuale, sarebbe affetto da gravi turbe psichiche (l’amico Gabriele Strazio ha provveduto a dare conto della situazione sulla sua rubrica Il lunedì politico di gay.tv).

L’impressione che si ha da questo insieme di dichiarazioni allucinanti è che i personaggi pubblici non hanno ancora imparato una cosa molto semplice: che le parole hanno un significato e un peso per chi le ascolta, e ciò anche se l’interlocutore non si vede. Le persone ascoltano, soprattutto i giovani. Per partito preso, chissà perchè poi, siamo abituati a pensare che i giovani, gli adolescenti in particolare, siano una massa di gente incolta, che fuma spinelli e passa i propri pomeriggi a chattare con gli amici via web o a fare shopping. Ma non è così. I giovani ascoltano –  molti inconsapevolmente, certo – quello che sentono alla televisione e che leggono sulle testate e sui blog. E ciò che hanno sentito in questi giorni non è certo edificante.

Mettiamoci nei panni di un giovane che si scopre omosessuale (il ragazzo di Vicenza, per esempio). Decide di dirlo ai suoi ma attorno a sè gli dicono che è uno psicopatico e che amare una persona del suo stesso sesso non solo è peccato, ma è anche contro la dignità umana. Come dire: gay = malato, pazzo, indegno. Una sottocategoria dell’umano, insomma. E se questo giovane si chiede cosa sarà di lui nel futuro (ce lo chiediamo tutti, in fondo), se sarà capace di costruire qualcosa (un legame, una casa, una famiglia: una vita), il mondo circostante gli dice che potrà farlo solo passando attraverso terapie di psicanalisi (o con un abbonamento all’autobus per Medjugorje) e in ultima analisi rinnegando se stesso.

Non deve stupire, quindi, se per qualcuno (e sono molti più di quanto si pensi) vivere in uno stato sub-umano è un’alternativa troppo penosa rispetto a quella di morire schiacciato da un tir in autostrada dopo un volo di 15 metri sull’asfalto. Forse se ci fermassimo un po’ di più a pensare prima di parlare, la nostra società sarebbe migliore. E se non vogliamo farlo per noi, almeno facciamolo per il futuro di quelli che oggi ci ascoltano.

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