Archiviata, almeno nelle speranze del Governo, la “pratica” pensioni, l’attenzione del nostro ministro del Lavoro, illuminata, improntata all’equità e nell’interesse di tutti noi cittadini, si va spostando sulle regole del mercato del lavoro.

La teoria del ministro Fornero (o, per dire meglio, con le parole di Monti, la visione dalla quale non si deve prescindere anche a saldi invariati) è piuttosto chiara: flessibilità in uscita per garantire una dinamica del mondo del lavoro che smetta di tutelare gli occupati anziani a fronte dei disagi dei precari giovani. Si può discutere per anni, senza trovarsi d’accordo, sulla giustezza e/o fondatezza delle teorie della Fornero, ma non è questo il punto. Il vero problema è che la eliminazione dell’articolo 18 è implicita nella riforma delle pensioni che è stata attuata in modo approssimativo, data la fretta con cui la si voleva concludere e senza pesarne tutti, ma dico tutti gli effetti, compresi quelli collaterali.

Dunque, per spiegarmi meglio, devo annoiarvi con una spiegazione sul come funzionino (o dovrei dire funzionavano) con le regole attuali le grandi ristrutturazioni aziendali a carattere strutturale. Esiste una legge, la n. 223 del 23 luglio 1991, che regola le modalità con le quali un’azienda che debba ridurre i propri organici in maniera permanente può farlo. Tale legge prescrive che, nell’identificare i soggetti individuali che verranno estromessi dall’attività lavorativa, si debbono applicare, a parità di mansioni, dei criteri specifici: i principali sono i carichi familiari (cioè più numerosa è la famiglia a carico del lavoratore e più lo stesso è protetto) e l’anzianità di servizio (cioè più il lavoratore ha esperienza lavorativa e più è protetto); non so se questo fosse nei propositi del legislatore di allora, ma questa norma proteggerebbe indiscutibilmente i lavoratori più anziani e metterebbe nel mirino quelli più giovani, soluzione non certo gradita alle aziende.

Nei fatti questa norma non è stata praticamente mai utilizzata e le aziende hanno accuratamente evitato di aprire procedure di mobilità nelle quali i soggetti venissero selezionati in base a criteri; si è quasi sempre optato, invece e con parecchio buon senso, per la selezione di soggetti che potessero accedere ai trattamenti pensionistici in tempi rapidi e che quindi, con adeguati incentivi a farlo, aderissero volontariamente alla cessazione del rapporto di lavoro.

Con l’ultima riforma delle pensioni è certo che nei prossimi 4-5 anni pochissimi lavoratori potranno accedere al trattamento pensionistico e soprattutto, data la prova provata che il nostro Stato calpesta con estrema tranquillità e senza alcun preavviso le regole esistenti cambiandole di colpo, nessuna persona di buon senso vorrà mai più esporsi al rischio di trovarsi iscritta suo malgrado alla prossima lotteria degli esonerati che potrebbe avere più perdenti che vincitori.

Allora la domanda è: riteniamo che con le riduzioni strutturali (e con l’aria recessiva che tira potrebbero essercene parecchie) le aziende si priveranno delle persone più giovani, tenendosi gli ultra sessantenni in accordo alla legge che citavo? Mi pare che questa sia un prospettiva inattuabile e di conseguenza l’unico modo per continuare a estromettere i lavoratori più anziani sarà quello di poterli licenziare, in quanto volontariamente non se ne andranno più e con le regole della 223 neppure.

Di conseguenza, l’articolo 18 che impedisce i licenziamenti sarà rimosso, salvo che la probabile resistenza sociale non lo impedisca. Il problema è capire cosa si farà per i lavoratori anziani estromessi e che non potranno accedere alla pensione, dato che di aria non campa nessuno. Per evitare di essere frainteso preciso che, secondo me, anche il mantenimento dell’articolo 18 crea problemi, esattamente per quello che ho detto sopra e cioè perché iniziare ad applicare estensivamente la legge 223 significa di fatto una guerra generazionale a discapito dei più giovani.

Allora, mi direte, non c’è soluzione? Credo proprio di no e credo che alla radice ci sia una riforma delle pensioni sostanzialmente inattuabile per le modalità e i tempi con cui è stata concepita e messa in vigore, in una congiuntura economica che non la permetteva e senza pensarne bene le conseguenze (o forse sì?). Una volta varata questa, la sfera comincia a rotolare giù per la collina e non credo che si possa fermarla; peccato che i birilli siano lo stato sociale occidentale sviluppato in un paio di secoli e i cittadini.

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