Gentile Direttore,
collaboro con questo inserto dal primo numero e regolarmente mando alla redazione i miei pezzi satirici, attenendomi scrupolosamente alla linea editoriale e agli standard richiesti. Per queste ragioni, e per la stima che provo per voi e che spero sia reciproca, trovo sconcertante che ogni settimana il mio pezzo, che con fiducia affido a Voi, venga pubblicato sul vostro inserto e reso pubblico, leggibile agli occhi di tutti. Si tratta di una vergognosa violazione della mia privacy! Quello che io penso e scrivo su questo giornale dovrebbe essere tutelato e preservato dallo sguardo indiscreto dei lettori. La invito pertanto e con effetto immediato a non pubblicarmi mai più o a mandare in stampa i miei pezzi completamente oscurati -compreso questo; altrimenti mi vedrò costretto a denunciarla all’Authority. Distinti saluti.

Ridicolo, non è vero? Sì; come tutto il dibattito sulla privacy. Ogni giorno esce una nuova notizia che, in sintesi, dice che la nostra privacy è minacciata: su Facebook, su Gmail, su Skype, sugli smartphone, tramite software, siamo tutti spiati e violati. Tutti. Come se le nostre vite fossero interessanti… Ma sai che cazzo gliene frega a chiunque delle nostre vite mediocri e banali, aride, meschine e noiose?

Questo dirsi siamo “tutti intercettati” è il più ridicolo atto di presunzione di massa nella Storia, il patetico tentativo da parte dell’Umanità di darsi un senso e un valore non più tramite un ipotetico Dio, ma tramite un altrettanto ipotetico (e ancor più improbabile) maresciallo dei carabinieri, o hacker. La privacy non esiste: è un finto diritto che ci siamo inventati per poterlo rivendicare istericamente e nascondere a noi stessi il fatto che in realtà siamo soli e privi di senso, ininfluenti creature di passaggio in questo mondo pieno di cuffie e microfoni dove non c’è niente da dire.

Da Il Misfatto, 11 Dicembre 2011

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