La fretta. Mettiamola così. E’ stata la fretta di un governo di emergenza a caccia di nuovi ministri e relativi capi di gabinetto a rimettere in gioco un processo per mafia che sembrava avviato verso una conclusione quasi certa. Danni collaterali della crisi economica. Capita a Milano. In corte d’Assise dove da luglio è in corso il processo per l’omicidio di Lea Garofalo, la collaboratrice di giustizia rapita il 24 novembre di due anni fa nel centro di Milano, interrogata, uccisa e sciolta nell’acido a San Fruttuoso vicino a Monza. Omicidio dunque. Ma non solo. Dietro c’è la ‘ndrangheta. Ma solo ufficiosamente. Perché ufficialmente a Carlo, Giuseppe e Vito Cosco (quest’ultimo già autore, nel 2003, della strage di Rozzano in cui uccise tre uomini e una bimba di due anni) è stata tolta l’aggravante del metodo mafioso. I legami storici, quelli sì restano. I rapporti con le cosche calabresi di Petilia Policastro, gli affari condivisi con i boss di periferia, alcuni dei quali per anni si sono seduti ai tavolini della mafia Spa in riva al Naviglio, quelli stanno sedimentati nella cronaca. Ma c’è di più: a commissionare l’esecuzione di Lea Garofalo, secondo l’accusa, è stato l’ex convivente Carlo Cosco. Storia segnata, dunque. Fino ad oggi incanalata in un binario giudiziario più che blindato. Poi la sorpresa. Il processo rischia di naufragare. Di più: a luglio i Cosco e altri tre imputati potrebbero ritrovarsi liberi. E il motivo è semplice: il presidente della Corte d’Assise di Milano Filippo Grisolia ha lasciato l’incarico perché chiamato a ricoprire il ruolo di capo di gabinetto del neo ministro della Giustizia Paola Severino.

Scelta legittima, naturalmente, ma certamente a tempo visto che il governo di Mario Monti nasce già con la scadenza certificata nel 2013 (se va bene). Altrettanto legittima appare la sorpresa di un giuria popolare che si trova, per ora, senza più un processo che nei suoi contenuti registra per la prima volta a Milano, una vittima sciolta nell’acido alla maniera dei Corleonesi. E ancora: un processo che riporta in primo piano la presenza mafiosa sotto al Duomo. E la cosa è tanto vera e soprattutto sentita che per la prima volta nella sua storia il comune di Milano, guidato dal neo sindaco Giuliano Pisapia, si è costituito parte civile.

Al di là di tutto il dato di cronaca resta incontrovertibile: Corte d’Assise senza presidente e processo a rischio. La prassi, infatti, vuole che in situazioni del genere il pm faccia richiesta di congelare gli atti. Tradotto: fissare il tempo del processo nel momento in cui il presidente lascia. Questo vorrebbe la prassi. Certo la decisione deve essere condivisa tra accusa e difesa. E in questo caso la difesa, come prevedibile, si è messa di mezzo è ha detto no. Niente congelamento degli atti e rewind del processo che riparte dalla prima udienza. Quella che arriva subito dopo l’udienza preliminare che ha disposto il giudizio (immediato). Particolare da non sottovalutare perché in questo caso i termini della custodia cautelare durano un anno. E dunque a luglio i Cosco potrebbero ritornare nel loro buen ritiro di via Montebello 6, pieno centro di Milano, ufficio criminale dal quale per anni hanno filato la rete dei propri affari. Non ultimo il racket degli appartamenti proprio in via Montebello 6 palazzo di proprietà del Policlinico. Una notizia, quella della ‘ndrangheta che si vende le case dell’ospedale Maggiore, che ha riempito le cronache milanesi per qualche giorno.

Ma c’è di più. C’è una ragazzina, Denise, figlia di una madre ammazzata perché collaborava con la giustizia. Donna-bambina che il 21 settembre ha deposto in aula. Giornata drammatica quella. “Avevo capito, ma a mio padre non l’ho fatto capire. Sono stata un anno con loro, ho giocato con i loro figli, pur sapendo che avevano ucciso mia madre. Cercavo di autoconvincermi che non era andata così”. Parole drammatiche che ora Denise dovrà trovare il coraggio di ripetere in aula. Quando? Non si sa. E con la prospettiva di vedere i presunti assassini di sua mamma in libertà.

Del resto su questo processo pesa un altro dato: la nomina di un avvocato d’ufficio per Carlo Cosco. Lui, accusato di aver pensato e ucciso, in aula si è dichiarato nullatenente. La corte ha deciso di affidargliene uno: Daniele Sussman Steinberg. Decisione opposta quella del gip Giuseppe Gennari. Chi abbia ragione poco importa. Ciò che resta è il fatto che Cosco prima di finire in carcere girava in Suv, mentre la stessa ordinanza d’arresto certifica affari di ogni tipo: dal racket delle case al movimento terra, a tal punto che una sua impresa è riuscita anche a lavorare negli appalti per la costruzione della linea Cinque della Metropolitana.

Tutto da rifare, dunque. Si riparte così dal primo dicembre data in cui verrà nominato il nuovo presidente. La storia ricomincia. Ma nessuno ha colpa

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