Il Michael del nuovo romanzo di Gene Gnocchi (L’invenzione del balcone, Bompiani), prototipo del teenager bullo e fancazzista, è in buona compagnia. Stando agli ultimi dati Istat, il 23 % dei giovani italiani (quasi uno su quattro) non studia né lavora. In America, dove adorano gli acronimi, li chiamano Neet (Not in Education, Employment or Training). La Crusca non ha ancora coniato un termine equivalente. Bamboccioni, fannulloni? Troppo banale. Per molti di loro, è una scelta dettata dalla sfiducia o dalla recessione. Ma non c’è solo questo. Sul sito online del nostro giornale così commenta la notizia un’insegnante, Maria Chiara Cappelli (che in quanto lettrice del Fatto non sarà certo di destra): «Questo è un discorso lungo, articolato e anche doloroso. La congiuntura economica è quello che è. Ma, almeno in parte, è anche vero che molti di questi ragazzi sono stati viziati dalle famiglie. Talvolta sarà capitato che i loro genitori siano andati a protestare dal preside perché un professore aveva sgridato il figliolo, accusandolo di non stare attento in classe e non studiare a casa. Quante volte si sono sentiti genitori inveire contro gli insegnanti del figlio perché non lo sapevano motivare!

Quante volte si sono sentiti genitori sbraitare e inveire contro un’insegnante del figlio perché aveva prospettato che forse il liceo non era il percorso scolastico più adatto. E quanti professori hanno trovato il modo di sguazzare nel letamaio di studenti somari e genitori ambiziosi!» Quei genitori, quegli insegnanti, magari poi sono gli stessi, democratici, laici e antifascisti, che sfilano in difesa della scuola pubblica, contro i tagli e le regalie agli istituti privati. Ma cosa vogliono? Una scuola di qualità o un Cepu gratuito che promuova tutti?

Prepotenza, disprezzo delle regole, svilimento dell’autorità dei docenti, voglia di fare i propri comodi: le premesse ci sono tutte per allevare nidiate di berlusconcini. Un esercito di “Trota”, di destra o di sinistra: proprio quello che ci vuole per l’Italia dello spread a 500. Se avremo, come pare, un professore a capo del governo, sarà il caso che faccia sentire la sua voce. Come diceva il grande Gaber: «non temo Berlusconi in sé, ma Berlusconi in me». Se già il B. in sé è restio a mollare, chissà quanto durerà quello che un po’ tutti, berlusconiani, antiberlusconiani e berlusconcini in erba, ci portiamo dentro.

da Saturno dell’11 novembre 2011

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