Il primo ministro greco Georgios Papandreou

L’incredibile mossa a sorpresa realizzata l’altro ieri dal premier greco Georgios Papandreou ha sconvolto i mercati scatenando sulle borse una tempesta memorabile. Ma ciò non significa che i disastri di Atene sapranno monopolizzare il dibattito del drammatico vertice G20 che si aprirà domani a Cannes. Per quanto del tutto imprevista e dirompente, infatti, la clamorosa scelta dell’esecutivo greco non ha rappresentato in senso stretto un vero e proprio fulmine a ciel sereno. Quanto, piuttosto, un autentico terremoto capace di sprigionarsi in un contesto già di per sé particolarmente instabile. Come a dire che Atene ha fatto il suo, ma i mercati, che in questo si dimostrano particolarmente sensibili, avevano già altri validi motivi di preoccupazione.

E’ passata quasi in secondo piano, ieri, la notizia del fallimento di MF Global, la società di investimento Usa collassata sotto il peso dei titoli sovrani europei. Una bancarotta che ha ricordato a molti l’epopea di Lehman Brothers, anche se le cifre in questione restano notevolmente inferiori. MF aveva accumulato in portafoglio circa 6,3 miliardi di dollari in titoli di Stato europei, italiani e spagnoli in particolare. L’intuizione, rivelatasi tragicamente errata, era che i bond fossero ampiamente sottovalutati a causa del panico generale ma anche, errore fatale, destinati a recuperare buona parte del proprio valore di fronte agli inevitabili interventi della Bce. Per questo il fallimento della società ha evocato a molti un vero e proprio fallimento dell’Europa rimarcando ancora una volta quella critica ormai annosa divenuta oggi particolarmente attuale: la Ue e la sua banca centrale difettano ancora di autorevolezza e di efficacia d’intervento. Agiscono con troppa cautela, non hanno la prontezza di intervento della Banca d’Inghilterra (tuttora impegnata nel riacquisto dei suoi titoli di stato sul mercato senza timore di affrontare i rischi inflazionistici) né il margine di manovra della Fed. In altre parole non sono in grado di calmare i mercati quando serve.

La Bce, insomma, dovrà rimettersi al più presto in carreggiata. Tanto più di fronte a un contesto particolarmente preoccupante. Non c’è solo l’Europa, infatti, negli incubi degli investitori. A pesare sullo sconforto generale ci sono altre notizie poco rassicuranti che, con ogni probabilità, non mancheranno di essere affrontate in occasione del vertice di Cannes. Su tutte, le previsioni sull’economia Usa, altra chiave di volta della crisi odierna. La disoccupazione negli States resta superiore al livello di guardia, quel 9% che segnala quanto il paese stenti a ripartire. Non è un caso, a questo punto, il progressivo diffondersi di voci sempre più insistenti in merito a un nuovo quantitative easing, ovvero di una terza massiccia iniezione di liquidità nel sistema. Ben Bernanke era già stato invitato ad agire qualche mese fa, ma si era opposto. Non è escluso, però, che possa ora cambiare idea. Un sondaggio condotto da Bloomberg sul solito bene informato campione della business community attribuisce a questa ipotesi una probabilità del 69%.

I timori a questo punto riguardano ancora una volta i possibili effetti collaterali. Le prime due manovre di alleggerimento da parte della Fed avrebbero dovuto stimolare la ripresa dell’economia reale ma, in realtà, hanno finito soprattutto per favorire la speculazione. Gran parte della liquidità, infatti, non si è tradotta in investimenti a lungo termine bensì in operazioni speculative che hanno preso di mira i comparti più promettenti. Prima è toccato al mercato azionario, poi alle materie prime infine ai titoli europei. Solo che in quest’ultimo caso le operazioni sono state condotte al ribasso. La domanda sembra dunque ovvia: memori della lezione di MF, per quale motivo le grandi banche Usa dovrebbero scegliere di “andare lunghe” sui titoli del Vecchio Continente invece di giocare con successo al ribasso come già avvenuto questa estate?

Il contesto è preoccupante, tanto più che all’orizzonte non si scorgono particolari opportunità di gioco al rialzo. In Brasile, uno dei più interessanti mercati emergenti del momento, la produzione industriale è calata per il secondo trimestre consecutivo. Nel frattempo, l’Australia ha effettuato il primo taglio dei tassi di interesse dal 2009 per rispondere alla persistente debolezza dei suoi scambi commerciali con le economie asiatiche. In questo quadro generale, a questo punto, l’unica speranza risiede in un accordo concreto che unisca in un intento comune Europa, Usa e Fondo monetario internazionale. Occorre operare insieme per la stabilità, muoversi, in pratica, su una strada unica. Il problema, però, è che nella ricerca di un’intesa ogni attore tenterà per necessariamente di far prevalere i propri interessi e l’Europa, in questo senso, parte già ampiamente svantaggiata. Francia e Germania avrebbero voluto presentarsi al G20 come leader di una politica europea comune. Ma oggi si ritrovano sotto scacco per le sorprendenti decisioni assunte all’improvviso da un Paese, la Grecia, che rappresenta non più del 3% dell’economia continentale. A 24 ore dal vertice francese, insomma, i leader dell’eurozona non avrebbero potuto presentarsi con un biglietto da visita peggiore.

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