I cattolici di sinistra fanno eco alle formazioni bolognesi di Pdl, Udc e Lega Nord: no all’ingresso dei gay e delle loro famiglie nella Consulta per la famiglia. Ed ecco così che si profila una rottura nel centrosinistra dopo la richiesta avanzata da due associazioni che riuniscono i genitori di persone omosessuali, Agedo e Famiglie arcobaleno.

“Si vuole legittimare la famiglia gay”, attacca il Pdl rincalzato dal consigliere comunale Manes Bernardini: “Siamo stupefatti. L’eventuale apertura al mondo omosessuale può riguardare forse altri ambiti, ma non certo questo. Per quanto ci riguarda l’unica famiglia che riconosciamo è quella naturale, fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna”.

E fin qua tutto secondo copione. Più inaspettato che il veto arrivi da altri fronti. Primo tra tutti Riccardo Petrella, eletto nelle file dei democratici a Palazzo D’Accursio e da sempre su posizioni cattoliche: “Ammettere quelle associazioni nella Consulta è un abuso e bisogna riparare all’errore. Il riconoscimento delle coppie omosessuali in quanto famiglie non è previsto dal programma del partito democratico”.

Con lui le Acli, che hanno già promesso dura opposizione. Il presidente Francesco Murru ha già annunciato che “alcune organizzazioni se ne andranno se arriveranno le due associazioni gay”. E per la Pd Raffaella Santi Casali “non bisogna nascondersi dietro a un dito, nel gruppo democratico ci sono sensibilità differenti che si faranno sentire nei momenti e nei luoghi appropriati”. Su linee analoghe la presidente del Quartiere Savena, Virginia Gieri.

A tutti risponde il sindaco Virginio Merola: “Bisogna uscire da questi schemi e sostenere tutte le famiglie numerose al di là dell’ideologia”. È d’accordo Amelia Frascaroli, assessore al welfare, da subito favorevole all’entrata delle due associazioni. Facendo appello alla Costituzione, l’esponente vendoliana della giunta ha ricordato che “tutte le persone hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso e razza”.

Ma la consigliera dell’unione democristiana Silvia Noè sfodera l’articolo 29 del dettato costituzionale “che definisce chiaramente cosa è la famiglia, richiamato anche dallo Statuto della stessa Consulta», cioè basata sul vincolo matrimoniale tra persone dello stesso sesso. E il Cassero, sede storica dell’Arcigay bolognese, entra nel dibattito con Emiliano Zaino, presidente del circolo: “Le famiglie omossessuali sono formazioni sociali garantite dall’articolo 2 della Costituzione e che quindi sono portatrici di diritti familiari”.

A fronte della polemica esplosa, le associazioni proponenti non fanno passi indietro. Come racconta la presidentessa di Agedo, Flavia Madaschi: “Questo potrebbe essere un grossissimo passo avanti per le nostre famiglie, però sembra che questo passo avanti non si voglia fare. Il discorso è che, come al solito, quando si sente la parola gay, addio, il discorso è già chiuso”.

Le basi per il quel temuto varco del riconoscimento legale e giuridico di nuclei e dei matrimoni omosessuali, le getta un atto di indirizzo (documento amministrativo che serve a indirizzare per l’appunto la politica locale, separando l’amministrazione dalla politica di governo) giacente in Comune fin dal 1999. “Un atto molto lungimirante”, lo definisce Amelia Frascaroli perché introdurrebbe un’anagrafe delle famiglie su base affettiva. “Si pensi che la sua ideazione risale a una circolare di dieci anni prima del ministro Andreotti“.

Dalle schiere del movimento gay, interviene Cathy La Torre, consigliera comunale Sel: “Le famiglie omosessuali esistono, che piaccia o meno alla destra. Sono circa 100 mila. Hanno gli stessi problemi delle altre: l’accesso ai nidi o le difficoltà con i servizi essenziali. La consulta è un organismo che nel suo mandato istituzionale ha il compito di interrogarsi sui bisogni di tutti, per cui è naturale che le associazioni gay vi rientrino”.

E alle affermazioni della destra, La Torre risponde per le rime: “Visto che parlano sempre di cosa è naturale, l’affettività fra le persone è naturale”. Il punto sembra essere che la situazione legislativa nazionale non riconosce proprio il diritto all’affettività. “L’aberrazione”, prosegue l’esponente del Sel, “è essere cittadini di serie b. In Italia siamo rimasti gli unici a non riconoscere nemmeno le unioni civili”.

Sarà il consiglio comunale a decidere. Pasquale Caviano, consigliere Idv e presidente protempore della Consulta, assicura: “Confermo che deciderò io”, in base a criteri decisi dalla segreteria della Consulta famiglia, attualmente a maggioranza cattolica. Se non altro, conclude Flavia Madaschi di Agedo, “ora, legalmente, non si può evitare di discutere e prendere in considerazione la nostra richiesta”.

di Giovanni Stinco e Ilaria Giupponi

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