Tutta colpa della Grecia. Si dice sempre così di questi tempi. Ora ci diranno che anche la “bocciatura” ieri sera del debito sovrano italiano è colpa di Atene. Oppure l’altra grande, preoccupante novità finanziaria degli ultimi giorni: il tracollo in Borsa di Dexia, la mega banca franco-belga. Sì, anche quello, tutta colpa della Grecia. In realtà Dexia era già stata salvata nel 2008, dopo il fallimento di Lehman Brothers, dai fondi pubblici di Parigi e Bruxelles (la bellezza di 6,4 miliardi di euro: all’operazione partecipò anche il Lussemburgo). Ora sta di nuovo in bilico.

Perché? E’ troppo esposta, appunto, nei confronti dei titoli di Stato ellenici (3,8 miliardi di euro). E la Grecia è a rischio default. Poi ci sono Italia e Francia, dove la banca è presente in maniera diretta con filiali, rispettivamente Crediop e Dexia Sabadell. In tutto, nelle casse di Dexia, ci sarebbero 21 miliardi di euro di titoli di Stato giudicati a rischio. La fiducia dei mercati si assottiglierà ancora di più dopo il declassamento di Moody’s dei bond italiani.

Ma, al di là di tutto questo, vogliamo, una buona volta, affrontare il problema strutturale di Dexia? Perché alla fine riguarda anche noi italiani. Tanti comuni, province, regioni. Indebitati. Ebbene, la “specialità” della banca è rappresentata proprio dai finanziamenti agli enti locali. Che, almeno fino al 2008, sono stati realizzati da Dexia in misura massiccia mediante obbligazioni a lungo termine finanziate a breve. Significa che obbligazioni ventennali o trentennali sono finanziate quasi giorno dopo giorno, attraverso sofisticati strumenti derivati. Significa che asili nido, ospedali o strade sono stati pagati grazie a prestiti alimentati dalla speculazione, dai “giochini” in Borsa.

Lo è stato fatto anche per molti enti locali italiani, che in seguito si sono ritrovati a dover rimborsare cifre astronomiche. Vedi il Comune di Firenze, che ha avviato un contenzioso contro Dexia. O la Provincia di Pisa, che, poche settimane fa, si è vista promuovere da parte della Corte Costituzionale lo stop dato ai propri derivati: la provincia toscana aveva cancellato in autotutela gli swap firmati principalmente con Dexia Crediop. Ma ritorniamo a quel tremendo autunno 2008, quando Dexia si trovò quasi ad affondare. I suoi bisogni di liquidità a breve termine ammontavano a 265 miliardi di euro. Al momento del salvataggio venne nominato un nuovo amministratore delegato, Pierre Mariani, che ha cercato di ridurre questa esposizione a breve.

Il 30 giugno scorso era scesa a 96 miliardi, che, comunque, restano ancora troppi, soprattutto se scoppia una crisi finanziaria, come quella degli ultimi mesi. In quel caso gli istituti di credito non arrivano più a rifinanziarsi sul mercato interbancario: quello che sta avvenendo proprio ora. E che potrebbe portare al fallimento di Dexia: probabile prima vittima di questa nuova crisi. Una vittima annunciata. Alla bancarotta, però, non ci si dovrebbe arrivare. Dexia è “too big to fail”. Francia e Belgio sono già al lavoro per salvarla. Stamani Noyer, il presidente della banca centrale francese, ha detto che i fondi pubblici per salvare Dexia non porteranno la Francia a perdere la ‘tripla A’. Ora, in effetti, gli occhi sono puntati sulla Francia, che ha ancora la ‘tripla A’, come i primi della classe, ma che da questo punto di vista appare sempre più traballante. Gli asset più a rischio (probabilmente tutto il portafogli obbligazionario, stimato a 100 miliardi di euro, e che, secondo gli analisti attivi sulla piazza finanziaria di Parigi, comprenderebbe le attività dell’italiana Crediop) dovrebbero essere assorbiti da una “bad bank” che sarà garantita dai due governi.

Per quanto riguarda le altre attività, alcune, come la filiale turca Denizbank, redditizia e dalle buone prospettive, dovrebbero trovare facilmente degli acquirenti. Le altre, invece, impossibili da rifilare a un privato, sarebbero rilevate dalla Caisse des dépôts et des consignations (Cdc, l’equivalente della nostra Cassa depositi e prestiti) e dalla Banque postale, entrambi organismi francesi pubblici. Insomma, si va verso lo smantellamento del gruppo, reso possibile (che si tratti delle garanzie o dell’intervento di Cdc e della Banca postale) dai contribuenti belgi e soprattutto francesi. Che si sobbarcheranno gli effetti di quegli stupidi giochini in borsa. Di quell’assurda commistione fra la cosa pubblica e la speculazione. Che in realtà non dovrebbero avere niente a che vedere.

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